Nadia Murad:»In Afghanistan non si privino le donne dei loro diritti e delle loro libertà»

«Kabul è caduta lo stesso giorno in cui il mio villaggio è caduto in mano all’Isis 7 anni fa. La comunità internazionale deve affrontare le ripercussioni prima che la tragedia si ripeta». Lo ha scritto Nadia Murad su Twitter lo scorso 16 agosto. Nello stesso giorno ha rinnovato l’appello perché i talebani non privino le donne dei loro diritti e delle loro libertà. «So cosa succede quando il mondo perde di vista le donne e le ragazze in crisi. Quando si distoglie lo sguardo, si fa la guerra al corpo delle donne. Questo non deve accadere in Afghanistan». Nadia Murad, all’età di 24 anni, è stata rapita e tenuta in ostaggio da parte del sedicente Stato Islamico. Nell’attacco al suo villaggio yazida, situato nel nord dell’Iraq, nel 2014, perse i suoi sei fratelli e la madre. È rimasta nelle mani dei terroristi per tre mesi prima di riuscire a scappare. In Germania, dove si è trasferita dopo la fuga, ha iniziato la sua battaglia per ottenete giustizia e in difesa delle donne vittime di violenza. Un impegno che le è valso nel 2018 il Premio Nobel per la pace, oltre ad altri riconoscimenti.

Negli scorsi giorni è stata ricevuta, per la terza volta, da Papa Francesco. In uno di questi incontri aveva donato al Pontefice una copia del suo libro autobiografico «L’ultima ragazza», nel quale racconta la sua terribile esperienza nelle mani dell’Isis. Ed è proprio la lettura di questo libro che ha spinto Papa Francesco ad intraprendere il viaggio in Iraq lo scorso mese di marzo, come aveva spiegato ai giornalisti durante il volo di ritorno. «Nadia Murad racconta cose terrificanti. Io vi consiglio di leggerlo, in alcuni punti potrà sembrare pesante, ma per me questo è il motivo di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro. Anche quando ho ascoltato Nadia che è venuta a raccontarmi delle cose terribili. Tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione».

Dopo aver seminato il terrore nel suo villaggio, uccidendo e distruggendo, i militanti dello Stato islamico hanno rapito Nadia Murad e centinaia di giovani ragazze come lei, e le hanno ridotte a schiave, soltanto perché appartenevano ad una minoranza che non professa la religione islamica. Durante la loro prigionia sono state vittime di stupro, violenze fisiche e psicologiche, umiliazioni di ogni genere. Nadia Murad è rimasta, malgrado tutto, ostinatamente attaccata alla vita, e in un momento di distrazione dei suoi aguzzini è riuscita a trovare le forza di scappare e di bussare alla porta di una famiglia sunnita che la aiutata a di mettersi in salvo nel Kurdistan iracheno. Le cicatrici indelebili che le sono rimaste sul corpo e nell’anima non l’anno però ridotta al silenzio, cancellandone l’identità, ma l’hanno spinta a farsi portavoce della sua gente e di tutte le vittime dell’odio bestiale dell’ISIS.  «Nadia non ha soltanto ritrovato la propria voce, ma è diventata la voce di tutti gli yazidi rimasti vittime di questo genocidio», scrive Amal Clooney, avvocatessa e assistente legale di Nadia Murad, nella prefazione al libro.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/nadia-muradin-afghanistan-non-si-privino-le-donne-dei-loro-diritti-e-delle-loro-liberta/