Ci ha lasciati Gianna Bernasconi, infaticabile imprenditrice di carità

In queste notti di stelle cadenti per San Lorenzo, ce n’è una salita da Riva San Vitale dritta in cielo: quella di Gianna Bernasconi, la piccola grande infermiera, diventata imprenditrice di carità in nome degli ultimi, scomparsa domenica scorsa. Questa infaticabile costruttrice di solidarietà è stata protagonista di fatto di una storia che ha dello straordinario: tutti aggettivi però che la diretta interessata aborriva, perché detestava le luci della ribalta e voleva per sé solo silenzio e nascondimento.

Aveva 84 anni, compiuti il 22 febbraio. Figlia di Ines e Pio, con diploma di infermiera conseguito all’OBV di Mendrisio, aveva deciso a 30 anni di dare una svolta alla sua vita. Si sapeva dell’India dai racconti di qualche missionario: lei si buttò in quella che sarebbe diventata una splendida avventura di umanità, durata 50 anni a Chennai, ex-Madras, nel Tamil Nadu.

Due numeri: 8 mila km di distanza da Riva, poco più di 20 voli andata e ritorno («per non sottrarre soldi ai poveri »). Iniziò in un dispensario con un medico generalista e dieci infermiere: ogni giorno una media di 250-300 visite. Test d’ingresso molto duro che servì a prendere le misure di un campo sconfinato e di cantieri imponenti sui quali ha saputo muoversi da salda e solida pioniera. Dalla sua parte: volontà di acciaio, lungimiranza e sensibilità non comuni, progetti dopo progetti, capacità da manager per guidare e mandare avanti un alveare di realizzazioni. Sentiva l’urgenza di sottrarre alla miseria, riuscendovi, moltitudini di persone alle quali dare dignità, quindi un tetto per cominciare, un’accoglienza e un’assistenza a dipendenza delle variegate strutture che via via prendevano forma. Ha saputo diventare più indiana degli indiani, agile nel districarsi, nel superare le non poche tortuosità burocratiche, nel dare un’impostazione e una modalità gestionale a ogni sua intuizione. Non bastano però gli slanci, occorrono i mezzi. L’Associazione Amici di Padre Mantovani, cui fanno eco quelli di Riva San Vitale e di ogni parte del Ticino, forniscono questa materia prima, che ha minuziosa puntualità di resoconti fino al centesimo.

Gianna non tollera sprechi, vuole l’essenzialità, punta alla concretezza del massimo risultato, risparmiando per altre intraprese. Ecco via via il St. John’s Dispensary e il Social Service a Erukkenchery; sei sale multiuso, tre asili nido, due scuole  elementari per i profughi ammassatisi nella zona di Vyasarpadi. «Aiutati che il ciel t’aiuta» è il motto con il quale fa crescere case per 1500 famiglie fornendo mattoni, cemento, ferro e progetto, esigendo però il lavoro dei destinatari. Mettiamoci altre 60 case con sala multiuso e due pompe elettriche per l’acqua a Poonjeri, periferia di quel termitaio umano che è Chennai; la ricostruzione dopo la distruzione dello tsunami del 2004; due anni dopo ecco il grandioso Father Schlooz Memorial Hospital a Vanakambadi. Tutto è posto sotto un’insegna inequivocabile: «Karunai Illam», cioè «Qui vive Dio». Nella megalopoli Chennai Gianna ha trovato molte Gerico: lei si è sentita ed ha fatto la samaritana senza tregue, convinta che il Vangelo va vissuto sempre in colei o colui che ti trovi davanti umiliato, ferito dalla vita (bambini abbandonati, disabili, anziani, centinaia di famiglie accasate). E siamo alla pagina delle beatitudini.

Sino all’ultimo ha voluto diffondere bagliori di un sentire limpido e motivato, impostando la rotta anche dalla sua cucina di Riva, dove continuava a coltivare sogni di carità. Adesso li potrà orientare da Lassù, dov’è giunta già con un riverbero d’aureola. Qui resta il dovere di tener vive la sua memoria e le sue opere, dopo un’esistenza spesa in dono per gli altri.

di Giuseppe Zois, già direttore del GdP

Chiesa cattolica svizzera

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