Lo psicoterapeuta Nicola Gianinazzi sui recenti fatti di intemperanza giovanile

Lugano, Mendrisio, Bissone… ultimamente mi trovo spesso a riflettere e discutere su quanto la cronaca sta proponendo alla nostra attenzione. Voglio puntualizzare fin da subito questo aspetto: «Quanto la cronaca propone alla nostra attenzione». Ferma restando la condanna e la necessità di sanzionare ogni reato – più o meno giovanile – rimane evidente che i reati commessi nel nostro Cantone non siano solo adolescenziali: basti pensare alle infrazioni del traffico, all’evasione fiscale, alla violenza domestica ed agli abusi sessuali anche su minorenni in costante aumento. La mia tesi di fondo – che accompagna il mio lavoro e la mia vita con bambini e ragazzi da più di 30 anni – è questa: i giovani sono rapidi nel cogliere le contraddizioni e altrettanto veloci nel progettare soluzioni a volte molto pro-attive, a volte più «passive » ed altre volte, purtroppo, anche semplicemente negative e distruttive. Leggono, sentono e vivono la realtà e questa – in particolare in questi ultimi 18 mesi – è imprescindibilmente legata a doppio filo alla pandemia e al suo punto di rottura, che non è rappresentata dal virus, ma dalla «velocità inculcata alle nostre società». Vedo la pandemia in questo continuum della crisi dell’Occidente, dell’Europa in particolare. E questo «punto di frattura» ha le sue radici ben prima del febbraio 2020. Il disagio giovanile sembra esplodere ora, come una molla già caricata oltre misura negli anni precedenti. Penso sia innegabile leggere in queste ed in altre situazioni – e chi lo nega, evita o relativizza la questione, ma non la soddisfa di certo – un profondo bisogno di cambiamento: non solo e non tanto una cosmesi, quanto una profonda quanto necessaria ristrutturazione. Subprimes, migranti, contagi, clima… non possono semplicemente venir gestiti con minimi aggiustamenti indolori. Alcuni reagiscono invocando sovranismi e autonomie da enti sovranazionali. A me, quello che colpisce maggiormente è il fatto che questi giovani, in fondo, cerchino una «libertà possibile» secondo gli stessi parametri: locale, alternativo, autogestito magari fino all’anarchia, con un certo qual fastidio per chi la pensa diversamente. Vale per l’ex-Macello, per i vax e no-vax, ma anche per molti altri fenomeni e spesso per entrambe le parti in gioco. In questo considero i giovani – tra cui annovero diversi pazienti e anche un figlio – «profeti» in quanto portatori di nuovi significati anche se mediati da vecchi significanti. Tutto lasciarci continuamente trascinare in demagogiche polarizzazioni che semplificano e mettono a confronto esperienze che non sono paragonabili tra di loro. Soprattutto se questi poli sono costruiti su medesime basi di disagio. Un disagio che va ascoltato e portato verso migliori soluzioni: altrimenti la contraddizione è evidente. Concludo – per non restare solo sul piano teorico – che questo cambiamento non potrà non occuparsi integralmente dello sviluppo umano in tutti i suoi aspetti, come ha magistralmente descritto papa Francesco nella sua enciclica «Fratelli tutti » sempre più apprezzata sia da destra che da sinistra. E una dimensione fondamentale è e rimane – oltre a quella sanitaria, psicologica e culturale – quella economica, dove può radicarsi la crescita sostenibile, ma dove può insinuarsi pure l’alienazione di giovani ed adulti e sono proprio questi ultimi nel loro ruolo di politici, educatori e genitori, che «impattano » con i giovani.

Nicola Gianinazzi, teologo e psicoterapeuta

Chiesa cattolica svizzera

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