Il suo grido: «Uccidete me, non la gente»

Ci sono fotografie che in una sola immagine condensano il senso (o il non-senso) di un conflitto, spiegano una vita, permettono di entrare nel cuore di una storia. Appartiene a questo genere di immagine quella che ritrae una suora in ginocchio, davanti alla polizia, schierata in assetto antisommossa. In una sola immagine tanti contenuti e nel contempo, tante domande. La prima e più urgente: ma chi è questa suora? E questa domanda deve avere attanagliato anche Gerolamo Fazzini, giornalista e saggista, che da anni segue le vicende del popolo del Myanmar. Da quando, nel 2011, da direttore del mensile «Mondo e Missione», ebbe l’occasione di recarsi sul posto per girare un documentario su padre Clemente Vismara (1897- 1988), grande evangelizzatore di quella terra, alla vigilia della sua beatificazione, creando legami e relazioni che si sono mantenute salde fino ad oggi. Forse è per questo che suor Ann Rose Nu Twang (1977), questo è il nome di questa suora-coraggio come è subito stata definita, si è lasciata intervistare da lui, negandosi all’ agenzia Reuters, alla Bbc e ad altri.

«Fin da piccoli», racconta suor Ann Rose, quinta di tredici fratelli e sorelle «abbiamo sperimentato sulla nostra pelle la violenza del conflitto tra militari e popolo kachin. Una guerra civile che dura dal 1948, da quando, cioè, il Myanmar conquistò l’indipendenza». Un conflitto che negli anni ha conosciuto brusche accelerate (come quella del 1988 e quella del 2007) e momenti di silenziosa latitanza. Mentre il resto del mondo era alle prese con il covid-19, ecco che in Myanmar si verifica un colpo di Stato: l’esercito mette a tacere la fragile democrazia birmana, incarnata dalla leader e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, che viene messa agli arresti. Questa volta però il popolo (soprattutto i giovani) non ci sta e scende in piazza. È questo lo scenario che, lo scorso 28 febbraio, si offre a suor Ann Rose: «(…) ho sentito le voci e gli slogan dei dimostranti contro i militari. Poi ad un certo punto sono arrivati i camion dei soldati e della polizia; i poliziotti sono saltati giù dai loro automezzi e hanno immediatamente sparato e colpito le persone con il manganello e usando fionde».
E poi quel gesto, che riporta alla mente quello del giovane cinese che sfidò i carri armati in Piazza Tienanmen a Pechino nel 1989, o quella delle ragazze turche di Gezi Park, aggredite nel 2013: «Mi sono inginocchiata e ho alzato le braccia al cielo, invocando l’aiuto del Signore: «Se volete picchiare la gente o sparare sui dimostranti, fatelo con me al posto loro, perché non riesco a sopportare che soffrano per la violenza. Uccidete me, non la gente!»».

Piano piano la situazione si è calmata e i poliziotti hanno smesso di inseguire i civili. Ma, trascorsa una manciata di giorni, la situazione è tornata a ripetersi. L’otto marzo, Ann Rose torna ad inginocchiarsi davanti ai militari. Questa volta, alcuni di loro si inginocchiano con lei. Lei rimane in quella posizione per diverse ore, ma la violenza riprende: un giovane viene colpito alla testa e morirà alcune ore dopo.
La guerra continua, ma negli occhi di tutti resta quel gesto, insieme di estrema mansuetudine e straordinaria forza. Dove ha trovato il coraggio di affrontare a mani nude uno schieramento di uomini armati? «Credo che Dio si sia servito di me, nel momento in cui mi sono inginocchiata di fronte ai militari. Mi ha dato forza lo Spirito Santo. (…) Questo non sarà mai un Paese democratico finché i poliziotti e i soldati, che dovrebbero proteggere le persone, le ammazzano. A Dio non piace che si uccida», conclude la suora.

Gerolamo Fazzini ha raccolto la testimonianza di Suor Ann Rose in un libro dal titolo «Uccidete me non la gente» (Edizioni Emi), con la prefazione di mons. Matteo Zuppi.

Chiesa cattolica svizzera

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