La prof.ssa Emilia Palladino sull’Anno della famiglia

In questo anno dedicato alla famiglia, papa Francesco invita a riprendere in mano, a cinque anni esatti dalla sua pubblicazione, l’esortazione apostolica Amoris laetitia («la gioia dell’amore»), pubblicata nel marzo del 2016, alla fine di un doppio sinodo, dedicato al tema della famiglia. Allora la sua pubblicazione coincise con l’anno straordinario dedicato alla Misericordia. Ora, l’anniversario cade nell’anno che papa Francesco ha voluto dedicare alla figura di San Giuseppe. Casualità? Piuttosto «coincidenza provvidenziale»: questa, almeno, è l’opinione di Emilia Palladino, laureata in fisica, teologa specializzata in pastorale famigliare, professoressa straordinaria alla facoltà di scienze sociali della Pontificia università gregoriana e docente del corso di specializzazione in pastorale famigliare.

«Nell’Anno della famiglia – spiega Palladino – parlare anche del padre, della cui assenza tanto si discute, ha un significato forte. Si esprime l’idea che all’interno di una famiglia non conti solo la madre, quando si tratta dei figli e della loro educazione, ma anche il padre. Ma più ancora del padre e della madre, ad importare è la coppia. È improponibile una maternità senza paternità insieme. Se non con grandissima difficoltà, sia dell’uno che dell’altra. Per cui durante questo anno dedicato alla famiglia, ricordare anche il padre è incisivo a livello culturale, non solo a livello cattolico».

È lecito chiedersi, a cinque anni dalla pubblicazione Amoris laetitia, che cosa di questo documento sia stato recepito e che cosa, forse, ancora non lo sia del tutto o per nulla…

«Al momento della sua pubblicazione, il documento ha suscitato un grande interesse perché «apriva» sull’ argomento della comunione ai divorziati-risposati. E tutto l’interesse sul documento è «collassato» su questo aspetto. Tra gli argomenti trattati c’è stata una sovraesposizione del capitolo 8, che è il capitolo sul discernimento e sulle situazioni cosiddette «irregolari»».

Quali, invece, gli argomenti di cui si è detto e scritto meno?

«Sono principalmente quelli legati all’amore coniugale: il capitolo 4, per esempio, ma anche il 7 che è il capitolo sul rapporto genitori-figli. Sotto silenzio sono passati anche altri temi che per me sono centrali: come quello dei generi e la questione della gestione dell’autorità. Sono argomenti che vengono trattati non tanto in maniera nuova ma, direi, con un approccio pratico e concreto».

Lei utilizza i termini «pratico» e «concreto». Secondo lei, quando la Chiesa parla istituzionalmente di «famiglia» lo fa in maniera troppo teorica e lontana da quello che è la realtà in cui le famiglie vivono?

«L’esortazione apostolica, fin dal suo inizio, grida l’evidenza che la famiglia non è un modello al quale aderire più o meno faticosamente, sacrificandosi perché questo accada nel migliore dei modi possibili, ma vita vissuta da costruire insieme, che si riadatta momento per momento agli accadimenti, alla crescita dei suoi membri, alle mutazioni interne ma anche esterne, ad essa. Forse, anche noi cattolici, ci illudiamo che aderire a dei modelli aiuti a risolvere attriti interni, pensando che più si aderisce ad un modello che si ritiene valido, più le cose andranno bene. Secondo me, non è così. Perché illude le persone che nel viaggio verso l’aderire a qualcosa di diverso da sé, ci sia in qualche modo, la strada verso la verità. Ma la strada verso la verità non è fuori, è dentro. In questo senso la famiglia non può essere un modello, ma è una contrattazione continua, una discesa continua verso l’interno di sé stessa. E questa contrattazione è diversa per ogni coppia. Perché differenti sono le condizioni in cui ci si trova a vivere. Differenti le storie, i luoghi, le culture…
Un concetto, questo, espresso anche dal cardinale Kevin J. Farrell, prefetto del «Dicastero per i laici, la famiglia e la vita» durante la conferenza stampa per presentare l’anno dedicato alla famiglia, e cioè che sia necessario «un cambio di mentalità che porti le famiglie a diventare soggetto della pastorale e non il suo oggetto».

In conclusione, professoressa Palladino, lei personalmente che cosa si aspetta da questo anno dedicato alla famiglia?

«Che se ne parli, della famiglia! Che si parli delle famiglie. Che si dica anche quello che sembra scontato. Che si riesca a fare un percorso all’interno dei legami famigliari che illustri l’»intus», cioè quello che c’è dentro. E che si smetta di pensare alla famiglia come ad una bella scatola colorata, senza che si apra mai il coperchio per vedere cosa c’è dentro. Io spero che quest’anno ci insegni ad avere il coraggio di andare a fondo della capacità che hanno gli uomini e le donne di oggi di costruire dei legami. Perché è lì che noi cattolici possiamo intervenire facendo riscoprire l’amore. Parlando di cose che non si sentono più: che non sono antiche modalità ma i contenuti più profondi della nostra fede».

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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