«Non servono capacità straordinarie ma l’umiltà di donare il proprio cuore»

Prendersi cura, di un malato, di un figlio, di un compagno di vita, di un parrocchiano, di una persona fragile… «prendersi cura» è l’espressione chiave di ogni vocazione; in essa è racchiuso il senso di una scelta che si fonda sull’amore e che dura per sempre. «È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si , si possiede davvero solo se si dona pienamente», sono le parole di papa Francesco nel messaggio per la 58° Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni che si celebra il 25 aprile. Il Papa affronta il tema a partire dalla figura di San Giuseppe che «attraverso la sua vita ordinaria, ha realizzato qualcosa di straordinario agli occhi di Dio».

Un Santo particolarmente caro al Pontefice, come lui stesso ha dichiarato fin dall’inizio del suo Pontificato (19 marzo 2013, festa di San Giuseppe) al quale Bergoglio ha dedicato un intero anno, iniziato l’8 dicembre 2020, e una lettera apostolica intitolata Patris Corde. Ora l’esempio di questo Santo viene richiamato dal Papa anche nell’ambito delle vocazioni; infatti nel cuore di Giuseppe, Dio «ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità», di prendersi cura in maniera umile e gratuita della sua sposa e del bimbo che custodiva nel suo grembo trasformando in questo modo la sua esistenza in un dono. La vocazione, oggi come al tempo di Cristo, che sia quella alla vita consacrata o alla famiglia, è il coraggio di una scelta, è il lasciare andare un porto sicuro per donarsi ed andare oltre sé stessi; è offrirsi all’altro chiunque esso sia per fare della propria vita qualcosa di straordinario, non perché capaci di talenti fuori dal comune, ma perché desiderosi di offrire noi stessi e donare amore.

Non servono dunque  capacità straordinarie, ma l’umiltà di donare il proprio cuore a Dio per prendersi cura e sacrificarsi al bene dell’altro. «Non c’è fede senza rischio – scrive papa Francesco –.  Solo abbandonandosi fiduciosamente alla grazia, mettendo da parte i propri  programmi e le proprie comodità, si dice davvero «sì» a Dio. E ogni «sì» porta frutto, perché aderisce a un disegno più grande di cui scorgiamo solo dei particolari, ma che l’Artista divino conosce e porta avanti, per fare di ogni vita un capolavoro ». Giuseppe è stato capace di realizzar il sogno d’amore che custodiva nel proprio cuore attraverso due pilastri comuni ad ogni vocazione, il servizio e la fedeltà. Non è possibile prendersi cura dell’altro senza questi due elementi: l’umile servizio perché l’altro trovi benessere lo sentiamo attuale oggi più che mai, in questo tempo così faticoso per la paura di ammalarsi, per il rischio di perdere il lavoro che aleggia come uno spettro, in particolare sulle famiglie, per le relazioni che sembrano sempre più tentennare.

Questo tempo chiede un surplus di energie proprio nella direzione della cura: ognuno di noi, in qualunque vocazione sia chiamato, deve farsi carico dell’altro e dei suoi bisogni, uscendo dall’individualismo che ancora troppe volte sembra prevalere. Ma il servizio non vale nulla se non c’è la fedeltà perché «la vocazione, come la vita, matura solo attraverso la fedeltà di ogni giorno». Non servono dunque grandi promesse proclamate, pubbliche manifestazioni di «ti amo» se poi in concreto non si rimane fedeli alla scelta presa; un impegno e una fedeltà che, giorno dopo giorno, ci conduce al «per sempre».

Silvia Guggiari

Chiesa cattolica svizzera

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