Giuseppe Labre, un Santo da riscoprire

Il 16 aprile la Chiesa festeggia la memoria di un santo poco noto ai più, ma la cui figura risulta molto interessante per le donne e gli uomini di oggi. Egli si chiamava Benedetto Giuseppe Labre e visse la sua esistenza vagabondando in tutta Europa, nella seconda metà del XVIII secolo (nacque nel 1748 e morì nel 1783), in un periodo dunque assai turbolento per il mondo intero e in particolare per la Chiesa Cattolica, che vedeva attacchi ideologici – e non solo – da ogni parte.

Nel mezzo di quel trambusto politico e filosofico, infatti, apparve questa bella figura di santità, destinata a dare, inconsapevolmente, un insegnamento universale di povertà spirituale, quella stessa povertà che Gesù raccomanda nelle Beatitudini (cfr. Mt 5, 3; Lc 6, 20). Benedetto Giuseppe nacque in una famiglia di assai umili origini ad Amettes, non lontano da Calais, nell’estremo nord della Francia. Il padre coltivava un piccolo podere e la madre gestiva una bottega per sarti. Sin da piccolo, per opera dello zio sacerdote, Benedetto Giuseppe ricevette un’ottima educazione cattolica e una discreta formazione scolastica. Molto devoto, in età adolescenziale comprese che doveva dedicarsi interamente alla vita religiosa e al culto di Dio. Pertanto, avanzò richieste di noviziato presso numerose realtà conventuali della sua zona. Trappisti e certosini, tuttavia, non lo ritennero idoneo alla vita in convento e lo respinsero più volte.

Iniziò così a peregrinare di santuario in santuario, finché non giunse in Piemonte, e qui, nel 1770, ricevette l’illuminazione: avrebbe dedicato l’intera sua vita al pellegrinaggio, alternando predicazione e preghiera. Da allora, Benedetto Giuseppe fu noto con l’appellativo di Vagabondo di Dio. Egli si spostava di santuario in santuario, portando con sé soltanto un rosario, un breviario e un vangelo. Per vivere, si affidava totalmente alla Provvidenza e alle elemosine delle persone che incontrava, che pure non gli mancavano ed erano spesso abbondanti, tanto che si vedeva spesso costretto a donare a sua volta agli altri poveri.

Nel 1777, giunse per l’ennesima volta a Roma, nel cuore della Cristianità, e se ne innamorò così tanto che decise di stabilirsi definitivamente. Qui divenne noto anche come il santo delle Quarantore, perché peregrinava quasi solo in cerca delle chiese nelle quali l’Eucarestia era esposta per l’adorazione pubblica. Ben presto, la sua figura divenne nota e famigliare per i romani, tanto che persino i nobili e i cardinali andavano ad ascoltarlo e a chiedergli direzione spirituale. Durante la Settimana Santa del 1783, il vagabondo di Dio ebbe un malore nella chiesa di Santa Maria ai Monti e poche ore dopo morì, all’età di soli 35 anni. Tantissime persone accorsero al suo funerale e appena un anno dopo il Papa decise di avviare il processo di beatificazione. Nel 1881, fu canonizzato da Papa Leone XIII.

San Benedetto Giuseppe Labre ci insegna che non esistono ostacoli temporali ed economici alla santità. La povertà economica è una disgrazia sociale e va sicuramente combattuta con tutti i mezzi possibili: lo stesso vagabondo di Dio si prodigava, quando possibile, per alleviare le indigenze altrui. Allo stesso tempo, la povertà economica può diventare strumento di santificazione, a patto che la si accetti volontariamente, e soprattutto che la si inneschi nella povertà spirituale. Ciò che rese santo Benedetto Giuseppe agli occhi di Dio e del mondo, infatti, fu la sua povertà in spirito e non quella materiale. «Beati i poveri in spirito – dice il Signore – perché di essi è il Regno dei cieli», cioè la stessa vita di grazia. Il povero in spirito è simile a un bicchiere colmo di acqua, che si svuota per farsi riempire, arricchire del vino inebriante di Dio. San Benedetto Giuseppe Labre ce lo ha insegnato bene.

Gaetano Masciullo

Chiesa cattolica svizzera

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