Küng: un pensiero pungente che ha scosso la Chiesa cattolica

È scomparso martedì, a 93 anni, lasciando il ricordo nella sua Svizzera, in Germania, nella Chiesa cattolica e nel mondo di un teologo combattivo, dalla parola pungente. Hans Küng ha fatto un’epoca della teologia. Il suo pensiero, le sue apparizioni mediatiche, le sue battaglie sono ancora nella memoria di molti. Ne parliamo con il prof. René Roux, rettore della Facoltà di teologia di Lugano.

Prof. Roux, Küng si sentiva «prete e teologo cattolico», ma c’è chi si domanda se un teologo cattolico possa sostenere in modo pubblico istanze come il celibato opzionale
per il clero cattolico di rito romano, il sacerdozio femminile, e anche dissentire su diversi temi bioetici con la Chiesa e opporsi all’infallibilità del Papa, scontrandosi fortemente, su certe questioni, con il magistero?

Küng apparteneva ad una generazione di teologi e ad un’epoca in cui la teologia era oggetto di grande interesse da parte della società intera. In questo il teologo svizzero è stato abile interprete dei sentimenti che ritrovava all’interno di ampie fasce del mondo
cattolico a cui apparteneva. Dobbiamo però distinguere il cattolico Hans Küng che non è mai stato scomunicato dalla Chiesa, dal teologo che non sempre ha offerto espressioni felici della teologia cattolica. Su queste tematiche elencate nella domanda, che non sono tutte da mettere sullo stesso piano, Küng ha dato le risposte che riteneva opportune, ma che non hanno creato consenso all’interno del Cattolicesimo. In realtà, un teologo con le sue ricerche può anche esplorare territori di confine, non può però aspettarsi che la Chiesa lo segua quando le sue teorie teologiche escono dal campo della cattolicità. È vero che la Congregazione per la dottrina della fede decise nel 1979 di togliere al teologo svizzero dopo che si era espresso contro l’infallibilità del Papa, l’incarico ufficiale per l’insegnamento della teologia cattolica, ma questa fu la conseguenza di una sua scelta: se
uno insegna all’interno di una facoltà teologica cattolica ma in coscienza ritiene che non può attenersi con lealtà alle condizioni poste da quell’impegno, anche in virtù dell’estrema rilevanza pubblica della persona, è necessario fare chiarezza. Senza voler mancare di rispetto ad un così grande teologo, mi colpisce però il fatto che molti degli argomenti su cui ha preso posizione in dissonanza con la posizione ecclesiale ufficiale sono stati, di fatto, in linea con il pensiero prevalente della società in cui si trovava a vivere.

Quanto sono polari le figure di Ratzinger e Küng nella teologia e chiesa tedesca?
Se guardiamo ai due professori di teologia, fra Küng e Ratzinger, più che sulle evidenti differenze di idee e di impostazione teologica, mi pare si possa parlare in primo luogo di una diversità di stile che riguarda anche l’aspetto mediatico. In Küng ricorrono sovente affermazioni come la critica al centralismo romano, l’insufficienza del pensiero romano, la – presunta – scarsa formazione teologica dei Pontefici da Pio XII a Giovanni Paolo II. Sono ad oltranza, mi pare senza argomentazione, e senza la volontà di capire le altrui ragioni. Küng è anche il teologo che con una certa supponenza vuole insegnare al magistero cosa deve fare. Da un lato è vero, il compito del teologo è anche ricordare la complessità del messaggio cristiano a chi ha compiti di governo nella Chiesa, dall’altro sistematicamente Küng ha sempre scritto ai Pontefici eletti per indicare loro cosa dovevano fare. E qui qualche domanda è legittimo porsela. D’altra parte, Ratzinger è il teologo molto più impacciato nella comunicazione pubblica, con una profondità di pensiero che chiede all’ascoltatore la pazienza di seguirlo. Küng è un eccellente divulgatore. Ratzinger, allo stesso tempo, è un teologo più umile. Penso, in particolare, ai volumi su Gesù di Nazareth pubblicati da Papa, con una grande attenzione a dichiarare che questo lavoro non è espressione del suo magistero. Il Papa si mette a livello degli altri teologi, mentre il teologo svizzero scrive a tutti i nuovi Pontefici una lettera, insegnando loro come devono governare la Chiesa e poi si stizzisce se non lo seguono.

E riguardo alla Chiesa in Germania…
Küng è stato interprete del desiderio di molti cattolici, cresciuti nella Chiesa e ad essa istituzionalmente legati, soprattutto fra coloro che lavorano nelle strutture ecclesiali, di migliorare la Chiesa stessa attraverso le varie riforme proposte. Oggi mi pare che i più giovani, anche tra gli studenti di teologia, si interessano di più a Ratzinger, perché arrivano dall’esterno del mondo ecclesiale, con un approccio più libero rispetto alle generazioni precedenti: a loro interessa scoprire la Chiesa per ciò che è, e non per come dovrebbe essere riformata.

Un altro tema della battaglia di Küng è stata la comunione ai divorziati – risposati. Su questo punto c’è stata l’apertura di Amoris laetitia che include questa possibilità all’interno di un percorso personale e di discernimento. C’è differenza tra la posizione di Küng e la soluzione di Amoris laetitia?
Penso che si arrivi a risultati simili ma a partire da due prospettive diverse. Amoris laetitia porta a riscoprire una serie di dimensioni intrinseche alla concezione cattolica dell’eucaristia, quindi aspetti oggettivi (il sacramento che è farmaco per i malati e non premio per i perfetti) e individuali, dove nel discernimento c’è davvero un primato della coscienza individuale guidata da un confronto serio all’interno della Chiesa e con la mediazione della comunità. Dall’altra parte mi pare che Küng propenda per una concezione del mistero eucaristico che anche dentro l’approccio alla questione dell’intercomunione tiene in considerazione diverse prospettive, dalla cattolica a quella luterana fino all’evangelica riformata. Basi di partenza diverse quindi.

La Congregazione per la dottrina della fede sospese Küng nel 1979 dall’insegnamento della teologia cattolica a causa della contestazione da parte del teologo svizzero del dogma dell’infallibilità del Papa. Questo dogma sancito dal Vaticano I (1870) dopo non pochi dibattiti interni, afferma l’infallibilità in materia di fede e morale. Ma si dice che il dogma sia stato usato dai Pontefici non più di una o due volte. Perché, per la Chiesa è così importante?
Da un lato la questione dell’infallibilità della Chiesa è la presenza dello Spirito che conduce la sua comunità. Il dogma è l’esplicitazione di una realtà vissuta per 2000 anni che ha una sua concretizzazione nel magistero del Papa o del Papa con tutti i vescovi insieme: è l’istanza che deve riconoscere che un determinato elemento della fede della Chiesa fa parte della tradizione ricevuta, ma è vero che la sua applicazione ormai è estremamente limitata.
È una questione che si può comprendere se si guarda alla Chiesa anglicana. Gli anglicani separandosi da Roma non hanno mai messo in discussione né il simbolo niceno-costantinopolitano né altri dogmi, ma quando nel loro parlamento hanno dovuto decidere sull’ordinazione delle donne, in quel momento si è chiarito chi è l’autorità suprema: la riunione parlamentare sinodale. Ed è stato a quel livello che qualcuno ha sollevato l’obiezione: «La fede non può essere decisa da un gruppo di persone nominate anche per ragioni politiche dal governo. La mia fede è legata a Cristo». La conseguenza fu che alcuni anglicani, come il reverendo Graham Leonard, vescovo di Londra, che divenne prete Cattolico Romano, lasciarono la loro Chiesa proprio come conseguenza di questa premessa giuridica sottostante, più che per l’essere contrari al sacerdozio femminile. Una Chiesa, per essere autentica con sè stessa, non può fare a meno di questa istanza, anche se è vero che quasi mai si attiva.

di Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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