Küng: il ricordo dei ticinesi che l'hanno incontrato

In tanti si sono fatti interrogare, scomodare, affascinare o anche mettere in crisi, dagli scritti e dai libri del teologo svizzero Hans Küng, scomparso il 6 aprile scorso, nella sua casa di Tübingen, all’età di 93 anni.  In pochi, in Ticino, lo hanno incontrato di persona. Uno di questi è Enrico Morresi, che lo incontrò per la prima volta, nel 1962 a Roma,  allora giovane giornalista, inviato dal Corriere del Ticino a seguire i primi dieci giorni del Concilio Vaticano II. Vi partecipava anche Hans Küng, a soli 32 anni, in qualità di esperto nominato da papa Giovanni XXIII e fresco della nomina a professore ordinario di teologia cattolica presso la facoltà di Tübingen, in Germania. Sarà però solo una trentina di anni dopo che Morresi, avrà l’opportunità di incontrarlo a tu per tu, nella sua villa un po’ fuori Tübingen, in occasione di una lunga intervista per la RSI. Una conversazione che si è protratta nel tempo e che periodicamente doveva fermarsi per permettere a Morresi di cambiare le bobine del registratore. Una prassi che aveva fatto esclamare all’insigne teologo, tra il serio e il faceto, che in Svizzera la tecnologia aveva ancora bisogno di fare importanti passi in avanti… Episodio che Morresi racconta sorridendo, mentre indica nella sua biblioteca di casa i tre bei volumi sulle tre religioni monoteiste, edite in italiano dalla Rizzoli, nella collana BUR di Hans Küng: «Ancora oggi pietre miliari nel dialogo interreligioso», precisa Morresi.

Anche il primo incontro di Alberto Bondolfi, ticinese, teologo e professore emerito di etica presso gli atenei di Losanna e Ginevra, con il teologo scomparso avvenne per mezzo di un libro. In questo caso la tesi di dottorato di un allora giovanissimo Küng: una tesi di risonanza sovraconfessionale sulla dottrina della giustificazione per fede di un altro teologo svizzero, protestante, però: Karl Barth. Secondo Alberto Bondolfi, una delle opere più felici di Küng e che ebbe modo di conoscere durante i suoi studi di teologia a Friborgo, negli anni ’60. Ci fu, tra i due, anche un altro incontro. Personale questa volta. Il Concilio Vaticano II si era concluso da qualche anno e in Svizzera la Conferenza dei vescovi aveva promosso la convocazione di un sinodo (Sinodo ’72)  per  avviare un momento di riflessione insieme anche ai laici, su come attuare nella Chiesa svizzera, quanto emerso a Roma. Bondolfi, in qualità di presidente del «Verein für die Anliegen von Konzil und Synode» (Associazione per le richieste del Concilio e del Sinodo) pensò di invitare ad un dibattito Hans Küng che si dimostrò molto generoso, prestandosi al lungo incontro e sostenendo, anche economicamente, l’associazione impegnata alla realizzazione di una fase post-conciliare più decisa.

E a chi vede ancora oggi in Hans Küng un «eretico», chiediamo a Bondolfi?
 «Si tratta di una fake news», risponde deciso. «La Chiesa cattolica non si è mai espressa in questi termini. Quello che ha fatto è stato revocargli, nel 1979,  la «venia legendi», che lo privava del diritto di essere un teologo che parlava a nome del cattolicesimo. Questo lo portò a lasciare la sua cattedra in Facoltà di teologia cattolica all’università di Tübingen ma non a ritirarsi dall’insegnamento. La questione allora, generò molto scalpore e mise in crisi anche il sistema delle facoltà teologiche di Stato. «Oggi anche grazie all’affaire Küng, vige un clima molto più disteso tra il Vaticano e le facoltà di teologia di Stato. Certo il suo attacco al Concilio Vaticano I che stabilì il dogma dell’infallibilità del Papa, fu duro. Ma Küng è morto pienamente «riconciliato»», conclude Alberto Bondolfi.

di Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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