Nel dialogo fraterno tra musulmani e cristiani c’è una «rivoluzione» portata da papa Francesco

Il viaggio di Francesco in Iraq è stato storico per molte ragioni: non solo il dialogo della Chiesa con l’islam di tradizione sciita e l’incontro con la comunità cristiana ferita, ma anche l’aver favorito in generale l’accoglienza di sensibilità diverse. A poche ore dalla partenza del Papa, a Bagdad c’è stato un passo politico-religioso importantissimo in tal senso: il primo ministro iracheno Al-Kadhimi e lo speaker del parlamento Al-Halbousi hanno invitato il grande imam sunnita di Al-Azhar, a visitare l’Iraq. Un gesto di grande significato per la pace nella regione che il gesuita padre Spadaro, attento commentatore del pontificato di Bergoglio, ha inserito tra i semi di pace diffusi dalla visita del Papa. Come sappiamo in Medio Oriente, un potente miscuglio di religione e politica ha acuito le divisioni tra Paesi a maggioranza musulmana sciita (Iran) e Paesi a maggioranza musulmana sunnita (in generale gli Stati del Golfo), generando una polveriera. L’Iraq con una popolazione a maggioranza sciita ma anche con una forte presenza sunnita, è un crocevia. Sul portale La Nuova Europa, il prof. Wael Farouq, intellettuale egiziano e docente di lingua araba presso la Facoltà di scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica di Milano, ci aiuta a capire, dentro un’ampia intervista, la scelta di fondo del Papa.
Farouq ha preso parte all’incontro ad Abu Dhabi del 2019 tra il Papa e il grande imam sunnita di Al-Azhar, il cui frutto fu la dichiarazione sulla fratellanza umana, di cui l’Enciclica Fratelli tutti riprende alcune istanze. «La rivoluzione che secondo me ha fatto il Papa -spiega il prof. Farouq non consiste solo in questa enciclica, risale a tanti anni fa, da quando ha cominciato a trattare in modo nuovo i migranti musulmani, e poi ha incominciato a visitare i Paesi islamici. La sua rivoluzione è stata abbandonare lo stile del dialogo per cui i leader religiosi, gli esperti di teologia cercano un terreno comune nel pensiero religioso, che porta ad esempio a riprendere la figura di Maria che unisce musulmani e cristiani; o la figura di Gesù nell’islam.
Tutte queste cose hanno costituito il cosiddetto «dialogo interreligioso», ma il Papa è passato dal dialogo all’incontro. L’incontro richiede ancor prima del pensiero una presenza, la presenza dell’uomo con la sua umanità. Questo non esclude il dialogo, ma il centro focale non è più la teologia o i rapporti al vertice, bensì la realtà, la vita quotidiana. In pratica il Papa non ha fatto azioni straordinarie di carattere politico o diplomatico; ha fatto come facciamo anche noi nella vita quotidiana: quando uno si ammala andiamo a visitarlo, perché cerchiamo di stargli accanto. Questa presenza riempie un vuoto. Si era creato un vuoto tra le due religioni, e anche all’interno di cristianesimo e islam. La battaglia principale del Papa è stata quella di riempire questo vuoto; lui non è andato contro nessuno, ma ha cercato di essere presente per non lasciare il vuoto, perché nel vuoto cresce l’odio, crescono i pregiudizi. Nella sua visita in Marocco, in Egitto, negli Emirati Arabi, in tutti i Paesi islamici, il Papa non ha detto niente di diverso da Benedetto XVI, non c’è stato alcun cambiamento nella dottrina della Chiesa; chi conosce bene i documenti usciti dal Concilio Vaticano II sa che non c’è stato alcun cambiamento di posizione della Chiesa verso le altre religioni. Quello che ha fatto Francesco è stato presentarsi come un essere umano impegnato personalmente a riempire il vuoto.
Facendo così il Papa ha reso le persone, ogni persona protagonista del dialogo. Ha fatto sentire la responsabilità di dare un contributo per riempire questo vuoto, questa è la cosa geniale».

Insomma, vanno bene gli esperti, ma non da soli. E come non potrebbe un Pontefice che ha preso il nome del Santo d’Assisi che la tradizione ricorda essere andato dal Sultano, non inserire la teologia del dialogo interreligioso dentro la ben più ampia «cultura dell’incontro»?

Leggi qui l’intervista al prof. Farouq.

Chiesa cattolica svizzera

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