Per favore non chiamatela «Giornata della donna»

Ajla del Ponte in preda ad una commozione indicibile, dopo la vittoria sui 60 metri ai
campionati europei di atletica in Polonia. Le donne musulmane a cui una risicata
maggioranza di svizzeri ha deciso di impedire di coprirsi il volto. Samantha Cristoforetti
che a breve partirà per una nuova missione nello spazio. Le tre donne al giorno che
chiamano la polizia cantonale ticinese per violenza domestica. Le donne che abbiamo
visto cantare, presentare, intervenire, scendere le scale su tacchi vertiginosi, sul palco di
San Remo. Le donne cattoliche svizzere che da qualche mese si incontrano regolarmente
con i vescovi svizzeri per instaurare un dialogo costruttivo. Che cosa hanno in comune
tutte queste donne? Niente. Oltre il fatto di appartenere al genere femminile. È sufficiente
per racchiuderle tutte nell’unica categoria denominata «donna»? Non credo. Anzi, certo che
no. Forse imparare ad usare sempre il plurale quando ci si rivolge a loro come categoria,
sarebbe il primo, concreto passo, per dimostrare alle donne quel rispetto che tutti sono
concordi nel voler tributare loro.
Quindi abituiamoci, per prima cosa, a rispettare e a considerare la loro diversità. A parlare
di «donne», sempre e rigorosamente al plurale. Non esiste infatti «la donna», esistono «le
donne». Negare loro questa diversità anche solo dal punto di vista grammaticale, significa
lasciare che lo spettro della «categoria», sostituisca tutta questa varietà di volti, di vite, di
storie. Parlare della «donna», presuppone avere nella mente (anche inconsapevolmente)
un’immagine di femminile a cui ci si riferisce e pensare che vi debba essere una
corrispondenza con questa immagine. Creare quello che si chiama lo stereotipo di genere.
Che definisce il femminile in base ad un concetto, ad una proiezione o addirittura ad un
pregiudizio. Quindi molto più che un dettaglio grammaticale.
Iniziare a decostruire questa visione, potrebbe essere un primo passo – e qui penso
soprattutto all’ambito cattolico- per smettere di pensare alle donne come ad un tema da
trattare, un pianeta da scoprire, un convengono di studio da organizzare. Le donne, io
penso, sarebbero molto felici di raccontare e condividere quello che sono, vivono,
pensano, sanno. E proprio in questi mesi un gruppetto di donne provenienti da tutta la
Svizzera ha deciso di voler fare proprio questo, insieme ai nostri vescovi. Nella semplice
modalità dell’incontro. Un piccolo passo, direte voi. Sì, ma nella direzione giusta.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/blogsi/per-favore-non-chiamatela-giornata-della-donna/