Iraq: il Papa nella terra di Abramo per una fratellanza con uguali diritti

di Cristina Vonzun

Oggi, per la prima volta nella storia, un papa incontra in terra islamica un esponente musulmano sciita di primo piano, l’ayatollah Al-Sistani. E questo è anche il primo viaggio di un pontefice in una terra a maggioranza sciita. Ma non bastano solo questi elementi a rendere storico il viaggio di Bergoglio in Iraq: ci sono i cristiani, quelli rimasti nel Paese che sono fra i trecentomila e i quattrocentomila, e che prima del 2003 erano circa un milione e mezzo. Con i loro martiri e profughi. Il Papa va anche da questa minoranza provata, per sostenerla. Oggi saranno comunque i gesti interreligiosi a prevalere. «Bergoglio in queste ore non solo incontrerà Al-Sistani, un grande leader spirituale sciita, ma va a Najaf, il luogo santo degli sciiti. Al-Sistani è una personalità sciita di grande rilievo, candidato due volte al Nobel della pace, un musulmano che ha preso posizioni molto chiare contro l’Isis», ci spiega il prof. Silvio Ferrari dell’Istituto di diritto canonico e diritto comparato delle religioni (DiReCom) della Facoltà di teologia di Lugano.

Prof. Ferrari, tra gli eventi salienti di questo viaggio c’è l’incontro odierno tra il Papa e l’ayatollah Al-Sistani, un evento storico che comunque arriva dopo un lungo dialogo tra cattolici e musulmani sciiti. Potrebbe spiegarci cosa è successo in questi anni?

C’è un dialogo stabile e istituzionale tra il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e gli sciiti che passa soprattutto per l’Iran, il grande vicino sciita dell’Iraq. Sono numerosi gli incontri ufficiali tra Vaticano e autorità religiose sciite a livello teologico, avvenuti in passato. Ad uno di questi viaggi ho partecipato di persona. Ma a livello politico è sempre stato impossibile fare passi in avanti, perché l’Iran è un Paese che ha rapporti difficili con il mondo occidentale, a partire dalla questione dei diritti umani, quindi un viaggio di un pontefice in Iran non è mai stato politicamente pensabile.

Ora si realizza un viaggio di un Papa in un Paese sciita, anche se non l’Iran. Il viaggio in Iraq può essere letto come frutto di questo dialogo?

Certamente c’è stato tutto un lavoro preparatorio che ha posto le premesse per questo incontro. Aggiungo che l’impressione avuta durante il mio viaggio in Iran è che la preparazione del «clero» sciita sia mediamente molto alta, mi pare addirittura maggiore rispetto a quella dei sunniti.

Il Papa con i musulmani sunniti sta portando avanti un dialogo sfociato nella famosa dichiarazione interreligiosa di Abu Dhabi, nel 2019, firmata da Bergoglio e dal grande imam di Al-Azhar. Qual è l’importanza del testo, alla luce anche di questo viaggio?

Il dialogo con il mondo sunnita è stato impostato sul tema della cittadinanza inclusiva. La dichiarazione di Abu Dhabi suggerisce di non parlare più di minoranze religiose ma di cittadinanza inclusiva. L’accoglienza di questo principio, se si verificassero le condizioni, potrebbe costituire una svolta importante nel mondo musulmano. Nei Paesi islamici, tradizionalmente, il rapporto tra le diverse comunità religiose presenti si fonda sull’idea di realtà dotate di una propria autonomia giuridica. I cristiani nei Paesi musulmani possono organizzarsi secondo il proprio diritto di famiglia, possono riferirsi ai propri tribunali quando hanno conflitti interni e lo stesso vale per i membri di altre religioni non musulmane. Vi è un sistema di diritti diversi, a seconda dell’appartenenza religiosa.

In Europa è differente: lo Stato laico applica la stessa legge a tutti i cittadini, perché l’idea alla base del sistema è quella di cittadinanza. La dichiarazione di Abu Dhabi, in qualche misura, dice: dobbiamo smettere di ragionare in termini di comunità separate, ciascuna con i propri diritti, ma si deve cominciare a ragionare in termini di cittadini con gli stessi diritti.

Quindi la questione della cittadinanza della dichiarazione di Abu Dhabi è decisiva per garantire uguali diritti e doveri tra persone di religioni diverse in Paesi a maggioranza islamica?

La sottolineatura da parte cattolica del tema della cittadinanza va proprio in questa direzione: c’è una situazione di discriminazione dei cristiani in diversi Paesi a prevalenza musulmana e quindi l’idea di cittadinanza può servire a riequilibrare la questione dei diritti. Non è una strada semplice perché questa idea di cittadinanza e dunque di uguali diritti per tutti, a prescindere dalla religione che si professa, non ha radici profonde nel mondo musulmano, ma è stata sviluppata in Europa sulla base di uno Stato laico, a partire anche dalle radici cristiane. Quindi ora bisogna vedere se queste istanze della dichiarazione di Abu-Dhabi saranno realisticamente realizzabili nel mondo islamico sunnita. Credo ci siano, infatti, resistenze interne a questa prospettiva, che probabilmente viene considerata eccessivamente europea. È una partita aperta.

Come tradurre tutto questo nel dialogo con gli sciiti?

Sarà interessante vedere se nell’incontro tra il Papa e Al-Sistani verrà ripreso il tema della cittadinanza. Come sappiamo il viaggio del Papa in Iraq è stato rinviato per diverse questioni. Agli inizi si era ipotizzata la possibilità di una seconda dichiarazione come quella di Abu Dhabi firmata dal pontefice e da Al-Sistani. Non se ne è più parlato. Vedremo se nei discorsi di Francesco e Al Sistani questa idea di cittadinanza inclusiva riemergerà.

Quanto c’è bisogno oggi, in Medio Oriente, di gesti e parole che parlino di fratellanza?

La sopravvivenza del cristianesimo in Medio Oriente può avvenire soltanto nel contesto di un dialogo e di una collaborazione tra le diverse religioni. Un cristianesimo indebolito in queste terre come è oggi, ha bisogno di un contesto pacifico in cui il dialogo tra le diverse religioni sia centrale.

Chiesa cattolica svizzera

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