Conversione ecologica: un tempo di scelte in cui si può ancora cambiare rotta

Il teologo e fisico Simone Morandini illustra l’urgenza di modificare i nostri comportamenti. Un impegno, quello legato alla cura del pianeta, al quale il cristiano non può venir meno.

Conversione ecologica e giustizia climatica sono i temi al centro della campagna ecumenica di Sacrifico Quaresimale, Pane per tutti e Essere solidali in corso in queste settimane. Due tematiche di grande interesse, sulle quali tanto si parla e tanto viene scritto, ma di cui forse ancora in pochi conoscono realmente cause, conseguenze e responsabilità. Abbiamo dunque chiesto al prof. Simone Morandini, teologo e fisico italiano, di accompagnarci in una lettura approfondita della questione.

In termini di inquinamento ed ecologia, la situazione mondiale sembra essere drammatica. È davvero pensabile che se ognuno facesse la sua parte potremmo ancora cambiare rotta?

Il mutamento climatico è una sorta di «meta problema»: dalla nostra capacità di affrontarlo dipende un’enorme variante di conseguenze e questo vale per il presente e ancor più per il futuro. Davvero possiamo dire che le prossime generazioni sono nelle nostre mani e ciò che faremo nei prossimi dieci, massimo quindici anni, segnerà in modo irreversibile il futuro della terra. Siamo in una fase critica nella quale l’agire umano è diventato il principale fattore che determina le dinamiche planetarie, biologiche e perfino geologiche: per questo parliamo di «Antropocene». A partire dal dopoguerra, l’impatto dell’agire umano sulla terra si è fatto più intenso e più pesante. L’accelerazione del cambiamento è sempre più forte: questo è un tempo di scelte, nel quale possiamo ancora cambiare rotta, ma dobbiamo operare e realizzare una trasformazione che tocca molti livelli della nostra presenza sulla terra.

Sembrerebbe che i grandi della terra si stiano impegnando per una reale conversione ecologia. Si pensi al Trattato di Parigi o alla Laudato si’ di papa Francesco… questi documenti come possono incidere sulla popolazione?

Il problema è che abbiamo bisogno di una azione a molti livelli nella quale necessariamente gli impulsi che ci vengono dai istituzioni come l’Unione Europea e da grandi figure come papa Francesco, e ora finalmente anche dalla presidenza degli Stati Uniti, possono acquistare significato soltanto se trovano corrispondenza nei comportamenti quotidiani delle persone. I nostri consumi, il modo in cui organizziamo la nostra casa, come investiamo i nostri risparmi, di cosa ci nutriamo, il modo in cui trattiamo e produciamo i rifiuti: questa interazione rappresenta in questo momento la variabile critica e al contempo la grande opportunità che ci viene offerta per cambiare rotta. E «Cambiare rotta» è anche il titolo dell’ultimo libro sul tema che ho pubblicato con le EdB di Bologna.

L’inquinamento che abbiamo oggi è il frutto di decenni di comportamenti sbagliati. È così?

Certo, la cultura dell’Occidente capitalista ha avuto nei confronti dell’ambiente un atteggiamento che ha portato a considerarlo, per lungo tempo, o come una cava da cui attingere materiale o come un deposito di rifiuti in cui gettare gli scarti. Questo atteggiamento, evidentemente, è stato sostenibile fin che avveniva su scala localmente delimitata, ma nel momento in cui è divenuta pratica condivisa dall’intera famiglia umana ci siamo resi conto che non è più sostenibile. L’accumulo di plastica negli
oceani o di anidride carbonica nell’atmosfera, alcune risorse che iniziano ad esaurirsi… tutto questo ci indica che stiamo pagando il conto di decenni, o forse secoli, di sviluppo mal orientato.

La campagna ecumenica di quest’anno si intitola «Giustizia climatica, adesso». Cosa si intende con questa espressione?

Significa che tutti siamo corresponsabili del mutamento climatico in atto, ma al momento responsabilità e impatti non sono affatto distribuiti in modo equo. Paesi come quelli dell’Africa sub sahariana o di alcune isole del Pacifico stanno pagando in modo sproporzionato le conseguenze di un mutamento di cui loro hanno ben poca responsabilità. Ora dobbiamo provare a tutelare il clima e a contrastare il mutamento climatico in forme che interpellino in primo luogo la responsabilità di coloro che sono realmente responsabili. La giustizia climatica tiene insieme due dimensioni, da un lato l’urgenza di agire e di arrestare il mutamento il prima possibile, dall’altro quella di invertire la tendenza per la quale molto spesso a pagare le conseguenze sono coloro che nemmeno ne sono responsabili.

Come cristiani come possiamo essere ancora più attenti alle ingiustizie sociali?

Questo pianeta che ci è stato dato è la casa in cui possiamo vivere e in cui i nostri figli potranno prosperare e questo è un ottimo motivo perché tutti, cristiani e non, possano prendersene cura. Da cristiani c’è anche un altro elemento che ci interpella e ci stimola a prendere la nostra responsabilità: questo mondo non è soltanto il frutto di certe dinamiche che la scienza studia, ma è un dono. La creazione è il grande dono che il Creatore ha fatto per tutte le sue creature, è lo spazio nel quale il Verbo di Dio si è fatto carne. Prendersi cura della terra significa davvero svolgere un compito profondamente religioso, significa corrispondere una dimensione imprescindibile della nostra dimensione di credenti; non farlo significa venir meno alla nostra umanità e a quell’appello che arriva direttamente dal Vangelo.

Per approfondire la tematica: «Cambiare rotta. Il futuro nell’Antropocene», di Simone Morandini, EDB edizioni

Silvia Guggiari

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/conversione-ecologica-un-tempo-di-scelte-in-cui-si-puo-ancora-cambiare-rotta/