Haiti: la sfida di lavorare per i poveri in una situazione esplosiva

La situazione ad Haiti in queste ore viene definita dagli esperti internazionali «esplosiva», tanto che il governo locale ha dichiarato di aver sventato «un tentativo di colpo di Stato», mentre l’opposizione ha nominato tre giorni fa un nuovo presidente ad interim, e nelle strade del Paese si susseguono violenze e arresti.

Al centro delle contestazioni c’è la presunta fine del mandato quinquennale del presidente Jovenel Moïse: secondo l’opposizione e molti altri settori governativi, il 7 febbraio 2020. Per questo Moïse non dovrebbe più essere al potere, anzi, ci dovrebbero essere delle elezioni. Moïse era candidato alla presidenza durante le elezioni del 2015, poi annullate per frode. È stato successivamente eletto nel 2016 ma di fatto ha iniziato il suo mandato il 7 febbraio Secondo lui e i suoi sostenitori dovrebbe restare in carica fino al 7 febbraio 2022, mentre secondo gli esponenti dell’opposizione e la maggioranza delle autorità e della società civile il suo mandato sarebbe terminato la scorsa domenica.

«La situazione di insicurezza e violenza in cui versa la capitale Port-auPrince ha visto un crescendo dal 2018, quando la popolazione ha iniziato le manifestazioni contro il presidente in carica. Da lì, il clima è sempre stato teso e le violenze hanno avuto il loro culmine nell’estate 2019. In seguito, le proteste in strada si sono calmate, ma le gangs armate hanno continuato una guerriglia urbana e creato un clima di paura a causa di sequestri quasi giornalieri, di cui vittime sono stati anche religiosi, giovani o addirittura bambini», ci raccontano i ticinesi Maria Laura e Sebastiano Pron che con Francisco Fabres sono sull’isola per un progetto educativo della diocesi di Lugano con la diocesi haitiana di Anse-à-Veau Miragoâne, in una zona lontana dalla capitale. Haiti nel suo recente passato ricorda una dittatura trentennale, quella dei Duvalier, caduta proprio il 7 febbraio. Ma povertà, miseria e instabilità istituzionale, da allora ad oggi, sono croniche.

Maria Laura e Sebastiano, in generale, qual è la situazione nella vostra zona?
I Nippes sono un dipartimento di Haiti tradizionalmente tranquillo essendo una zona perlopiù povera e rurale. Se a Port-au-Prince la situazione è spesso molto calda, qui invece manifestazioni, scontri e problemi di sicurezza sono molto rari. Come già avvenuto negli anni scorsi, in queste zone i rappresentanti dell’opposizione possono però decidere di bloccare le strade a trasporti di persone e merci per giorni e lasciare isolata la popolazione. Francisco, missionario ad Haiti dal 2017, aveva fatto questa esperienza durante la grave crisi del 2019 quando tutto il Paese era stato bloccato per mesi.

La Chiesa locale come reagisce alle tensioni politiche e sociali?
La Chiesa di Haiti si è più volte schierata contro questo nuovo regime di terrore e si è sempre dimostrata vicina alle vittime: per questo c’è chi ha pagato di persona tra preti e operatori pastorali. Fortunatamente, nei Nippes, durante tutti questi mesi, episodi di questo genere non si sono mai verificati e la vita è trascorsa normalmente, anche perché la popolazione è diventata troppo povera per permettersi di protestare o di mettere a repentaglio la propria vita in questo modo. Durante le ultime settimane tuttavia molte persone hanno espresso preoccupazione e timore nel caso in cui dalla capitale decidessero di bloccare l’unica strada principale che conduce nel sudovest del Paese e quindi di mettere a rischio l’approvvigionamento di benzina, diesel, viveri, medicinali e altri generi.

Come riuscite a portare avanti il progetto missionario?
Al momento, non si sa se l’opposizione al Presidente riuscirà ad organizzarsi sufficientemente e fomentare il malumore anche nelle regioni più discoste del Paese, portando nella peggiore delle ipotesi ad un ennesimo blocco totale. In tal caso resteremo a casa a preparare materiali didattici per le future formazioni, aiutare i poveri che vengono a trovarci e ad occuparci dell’orto e degli animali. Nella migliore delle ipotesi invece si proseguirà come sempre. Questo scenario è verosimile anche perché molta gente già impoverita dal lungo e difficile periodo precedente, non vuole rischiare di trovarsi in una situazione ancora peggiore.

Il progetto della diocesi di Lugano ad Haiti

Il progetto missionario diocesano è rivolto a migliorare la qualità dell’educazione nelle scuole parrocchiali della diocesi di Anse à Veau-Miragoâne. Assieme all’équipe locale, i missionari ticinesi lavorano a sostegno dell’Ufficio Diocesano dell’Educazione della locale diocesi haitiana. Da novembre 2020 stanno proponendo dei corsi di formazione per i docenti delle scuole cattoliche negli ambiti della pedagogia, dell’educazione alla salute e dell’animazione delle strutture partecipative e delle comunità. La speranza è che la situazione politica non precipiti, così da poter continuare il lavoro e visitare le scuole per vedere all’opera gli insegnanti. Nel mese di gennaio appena trascorso sono stati inoltre svolti degli incontri con tutti i direttori scolastici sul tema dell’armonizzazione delle scuole e della prevenzione della violenza sui bambini, un metodo di punizione purtroppo ancora molto diffuso. Francisco Fabres ha inoltre dato avvio ad una formazione per laici e giovani preti. A fianco di ciò, i missionari svolgono attività nell’ambito della salute, dell’educazione ambientale e di sostegno a piccole associazioni e gente comune con particolare attenzione alle giovani mamme e ai più bisognosi.

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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