«Scambiatevi il dono della pace». In piena pandemia?

«Pace»: 247 volte nell’Antico Testamento, 100 volte nel Nuovo Testamento. La parola ricorre quindi, nell’intera Bibbia, quasi 350 volte. E la maggior parte di esse richiama la pace che Dio dona ai suoi fedeli, a quanti credono, sperano e agiscono nel suo nome. Non stupisce quindi che la parola sia entrata nella liturgia della Chiesa in diversi momenti. Nella celebrazione della Messa, ritroviamo la parola nel saluto iniziale (quando presiede un vescovo: «la pace sia con voi»); nell’embolismo (»concedi la pace ai nostri giorni», dopo il Padre Nostro), nel rito della pace (»Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: vi lascio la pace, vi do la mia pace») e nel conseguente gesto di scambio della pace; nell’invocazione dell’Agnello di Dio (»dona a noi la pace»); al termine della Celebrazione, il congedo (»andate in pace»). Oltre a queste parti inserite nell’ordinario della Messa, ben oltre 200 volte il richiamo alla pace è presente nei propri, nei comuni o nei prefazi del Messale.

Segno o dono della pace?

La forte presenza biblica e la conseguente recezione da parte della liturgia inducono a una breve quanto provocatoria riflessione sul gesto della pace all’interno dell’Eucaristia. La pandemia, per evidenti motivi sanitari, non appena ci si è resi consapevoli della possibilità di contagio ha visto un’immediata sospensione dell’importante segno nella liturgia. Esso è affidato alle singole Conferenze Episcopali che – a seconda delle tradizioni e dei costumi locali – possono dare indicazioni precise sulla modalità di questo segno. D’altronde, è facilmente comprensibile che lo scambio della pace possa trovare forme diverse in Giappone, in Svizzera o in India. Per questo motivo, nelle indicazioni del Messale Romano ritroviamo: «spetta alle Conferenze Episcopali stabilire il modo di compiere questo gesto di pace secondo l’indole e le usanze dei popoli. Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio» (Ordinamento Generale del Messale Romano – ed. 2020 – d’ora in poi OGMR, p. XXVII, n. 82). La nuova traduzione del Messale Romano, entrata da poco come forma ordinaria nelle comunità di lingua italiana, ha portato un contributo messo in ombra dalla sospensione del gesto per motivi sanitari. Se la traduzione italiana del 1983 (la versione del Messale precedente, tanto per intenderci) riportava «scambiatevi un segno di pace», quella del 2020 indica «scambiatevi il dono della pace».  Un piccolo, chiaro, contributo che vuole sottolineare quanto il gesto non debba essere solamente segno ma debba andare nella profondità di quanto si riceve dal Signore (la sua pace) da donare agli altri. In pandemia, ben vengano quindi i tentativi di bypassare la sospensione del gesto, per esempio attraverso una maggiore gestualità del presidente della celebrazione: una maggiore enfasi nello sguardo, nell’allargare e chiudere le braccia, nel pronunciare con voce chiara e distinta la formula «la pace del Signore sia sempre con voi». Il momento della pace però non è solamente «ricettiva» da parte dell’assemblea. Essa è espressione della pace che deve regnare all’interno della Chiesa stessa (»i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento», ricorda l’OGMR, 82). In questo senso, la formula «scambiatevi il dono della pace» risulta più precisa e completa, soprattutto nell’ottica di una pace ricevuta (quella del Signore risorto) e scambiata all’interno della comunità stessa.

Tra confusione e sobrietà

Se le indicazioni del Messale richiamano ad una certa sobrietà: il sacerdote è chiamato a dare la pace ai concelebranti, al diacono e ai ministri o a quelli che sono più vicini a lui (OGMR, 239) e i fedeli sono chiamati a dare la pace solamente a chi è più vicino (OGMR, n. 82) è proprio per evitare che, nel momento dei riti di comunione si distolga l’attenzione dall’Eucaristia e dai gesti che seguono. Il rischio di perdere la dovuta devozione a motivo della distrazione e della confusione di questo gesto ha portato la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti a dare un’istruzione su questo importante elemento liturgico. In esso, veniva ricordato di evitare un»canto della pace», inesistente nel rito romano; che – se l’assemblea può trarre comportamenti che distraggono – si possa omettere il rito stesso; oppure ancora di inserire saluti, richiami o condoglianze al posto che l’ordinaria formula.  Papa Benedetto XVI, nel 2008, nella sua Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis suggeriva, proprio per evitare il rischio di compromettere la fruttuosa partecipazione all’Eucaristia, di spostare lo scambio della pace in altro momento (come avviene per esempio per il rito ambrosiano, prima dell’Offertorio).

Un rito liturgico antico

Lo scambio della pace è un rito molto antico: già san Cirillo di Gerusalemme (313-386) ne parla nella sua Catechesi mistagogica V: Il diacono avverte a voce alta: «Prendetevi l’un l’altro e salutatevi scambievolmente». Non pensare che questo bacio sia l’abituale di quelli che avvengono sulla piazza tra amici comuni. Non è nulla del genere. Questo bacio unisce le anime tra loro e le induce ad ogni perdono. Il bacio è segno dunque che le anime si uniscono e cacciano ogni rancore…Dunque il bacio è riconciliazione e, per questo, santo, come dice ad alta voce il beato Paolo: «Salutatevi l’un l’altro nel bacio santo». E Pietro: «Salutatevi l’un l’altro nel bacio della carità» (Cat. V,3). Testomianze si ritrovano anche in san Giustino di Nablus (II secolo): «Cessate le preghiere [preghiera dei fedeli] ci abbracciamo con scambievole bacio (Apologia I, 65), come pure nella Traditio Apostolica (attribuita a Ippolito, 220 d.C.) dove si ricorda che il bacio della pace doveva essere riservato solo a coloro che erano già stati battezzati, perché il segno era reso «puro». Non mancano poi altri riferimenti sino ai Pontificali di Patrizio Piccolomini († 1496) e Giovanni Burcardo († 1506).

Il bisogno relazionale attuale

Se già gli ultimi anni hanno visto un’accresciuta privatizzazione della propria esperienza ed anche espressione religiosa, va notato che la pandemia ha ulteriormente deteriorato le relazioni sociali, tanto nel contesto famigliare quanto in quello sociale. E in questa tendenza non mancano evoluzioni anche i campo liturgico e pastorale: la dimensione comunitaria soffre particolarmente le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria.

In questo contesto quindi l’indicazione della CEI del 26 gennaio 2021, con la quale si ripristina – in territorio italiano – lo scambio della pace è una risposta interessante. Data l’impossibilità di ricorrere alla stretta di mano, o di sostituire questa con il gesto più confuso del «toccarsi i gomiti», l’invito è a cercare un contatto visivo o un breve inchino. Al di là degli aspetti tecnici e della scelta del gesto in sé, al termine di questa riflessione emerge quanto sia importante recuperare all’interno della comunità un momento di scambio reciproco, di edificazione vicendevole, di condivisione della pace ricevuta: non è solamente un «saluto» da parte del celebrante, ma partecipazione di una pace che va accolta e offerta. Un dono, appunto.

La pace del Signore sia sempre con voi!

Tutta la celebrazione è segno della pace del Signore, tutta la Messa è dono della pace del Signore. Il recupero e la maggiore comprensione di un segno può però senz’altro aiutare a significare questo dono e ad aprire cuore e relazioni a chi condivide la fede e il cammino di cristiano, ben oltre la distanza sociale, la mascherina o impedimenti vari. Con un piccolo gesto nell’assemblea la pace data dal celebrante «sia sempre con voi» trova lo spazio anche nel «tra voi». Un piccolo segno, una piccola traccia, una piccola pietra nell’edificazione ecclesiale. Con buona pace per tutti.

Don Emanuele Di Marco

Chiesa cattolica svizzera

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