Ticino: i centri per persone fragili tra quotidianità e attesa dei vaccini. La parola ai direttori

È partita dai residenti e dal personale delle case anziani e prosegue secondo un preciso ordine cronologico, quella che è stata definita la più grande campagna di vaccinazione della nostra storia. C’è però un’altra categoria a rischio, accanto o oltre agli anziani, che da quasi un anno ormai vive blindata ed «invisibile» entro i confini del parco, del giardino, dell’area verde che circonda l’istituto che li accoglie: è quella dei disabili. Qualche giorno fa, Roberto Roncoroni, il direttore della fondazione Otaf di Sorengo, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che questi ultimi sarebbero stati «dimenticati» dai piani di vaccinazioni federali. Una popolazione molto eterogenea, non soltanto per l’età (dagli zero agli over ottant’anni), ma anche per ciò che riguarda le disabilità e le patologie. A partire da questa dichiarazione del direttor Roncoroni dell’Otaf, abbiamo coinvolto una direttrice e due direttore di altrettanti istituti che si occupano di persone con disabilità, per capire anche al di là della concreta questione del vaccino, come vivono, ormai da quasi un anno, la situazione che il covid ha generato all’interno delle loro strutture. «È stato un anno di grandi sacrifici», esordisce Claudio Naiaretti, della Fondazione San Gottardo che gestisce Casa don Orione a Lopagno, l’Orto il Gelso a Melano, due centri diurni e 23 appartamenti protetti a Lugano e un foyer a Barbengo, per un totale di circa 130 persone di età compresa tra i 19 e gli 82 anni. «Per i nostri ospiti si è trattato di cambiare stile di vita. I ritmi delle giornate sono stati modificati. Attività consolidate sono state limitate, se non abolite. I contatti interpersonali ridotti al minimo. E questo fa male se pensiamo che tutto il nostro lavoro «prima» ruotava intorno all’inclusione e all’ampliamento delle relazioni interpersonali». Non molto diverso è il sentire di Adriano Cattaneo, direttore della fondazione Provvida Madre di Balerna, istituto che si trova a qualche centinaio di metri dalla locale casa anziani, dove di recente è scoppiato un significativo focolaio di Covid-19, e ad una manciata di chilometri dalla scuola media di Morbio Inferiore, chiusa fino al 27 gennaio per via di numerosi casi di contagio da Covid19, determinato dalla cosiddetta «variante inglese». Una situazione quanto mai scomoda per il personale e gli oltre 100 ospiti di età compresa tra i tre e gli 87 anni, alcuni residenti e altri che frequentano solo le attività diurne. La casa ha vissuto da vicino il virus durante lo scorso mese di marzo, quando quattordici ospiti sono risultati positivi e due purtroppo sono deceduti. «Da marzo, ormai, i rientri in famiglia sono bloccati. Mentre i parenti possono venire ad incontrare i loro famigliari solo in appositi spazi e solo per un massino di 45 minuti, in una sorta di aula box che abbiamo creato. Dal mese di marzo i parenti non sono più saliti nelle camere dei loro figli». Come anche gli istituti della Fondazione San Gottardo, anche la Provvida Madre in questi anni ha puntato moltissimo sull’inclusione e sull’apertura verso l’esterno. La struttura ha un parco giochi, una palestra e una piscina utilizzati in una bella iterazione tra ospiti, associazioni sportive e popolazione locale. Ora tutto è fermo: una situazione difficile da gestire sia per gli ospiti dell’istituto, sia per gli utenti delle diverse strutture, sia per chi questi progetti li ha voluti e portati avanti con convinzione. A questa situazione di generale scoramento si aggiunge anche la situazione epidemiologia concreta. Anche se in questo momento il reparto covid della «Provvida» è vuoto, attualmente vi sono diverse assenze tra il personale – una ventina in tutto – che sono o positivi o in quarantena o in attesa dell’esito di un tampone. Mentre l’utente più anziano della struttura, un over 80, è già stato vaccinato, il direttore spera che vengano varate delle direttive ad hoc per le persone disabili e per le strutture che li accolgono. Un po’ diversa la situazione qualche chilometro più in su, a Loverciano, per l’Istituto Sant’Angelo, che offre una formazione scolastica speciale ad una quarantina tra bambini e ragazzi – la maggioranza dei quali rientra ogni giorno al suo domicilio – e una formazione professionale ad una quindicina di apprendisti. Qui la scelta della vaccinazione non compete all’istituto, ma alle famiglie dei ragazzi. «Le restrizioni anti covid», ci spiega la direttrice di Loverciano Marilena Pulieri, «da noi hanno coinciso con il taglio delle attività esterne. Abbiamo cercato di compensare la mancanza delle gite con delle passeggiate nei boschi dei dintorni e abbiamo creato due laboratori interni all’istituto: uno di falegnameria e uno per aggiustare le nostre bici! Certo, cerchiamo di sorridere ma è un tempo di grandi sacrifici per tutti. Per i ragazzi, per le famiglie, per il personale. La cosa forse più pesante, è convivere con la paura di contagiarsi o di portare il contagio».

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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