Uccisi nel corso del 2020 venti operatori pastorali

I primi giorni dell’anno nuovo sono sempre segnati dal rapporto dell’Agenzia Fides sugli operatori pastorali uccisi durante l’anno appena trascorso. Una conta che fa sempre male, ma che nel 2020 lo fa ancora di più, perché tra i nomi delle venti vittime che hanno perso la vita vi è anche quello di don Roberto Malgesini, il «prete dei poveri», barbaramente ucciso il 15 settembre a due passi dalla nostra diocesi. Insieme a lui, secondo le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides, sono stati uccisi altri 19 missionari: 8 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 2 seminaristi, 6 laici. Secondo la ripartizione continentale, quest’anno il numero più alto torna a registrarsi in America, dove sono stati uccisi 5 sacerdoti e 3 laici. Segue l’Africa, dove sono stati uccisi 1 sacerdote, 3 religiose, 1 seminarista, 2 laici. In Asia sono stati uccisi 1 sacerdote, 1 seminarista e 1 laico. In Europa 1 sacerdote e 1 religioso. L’elenco annuale di Fides ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma cerca di registrare tutti i battezzati impegnati nella vita della Chiesa morti in modo violento, non espressamente «in odio alla fede». Ricordando all’udienza generale del 2 dicembre scorso il quarantesimo anniversario della morte di quattro missionarie del Nord America, uccise in El Salvador, dove furono rapite, violentate e assassinate da un gruppo di paramilitari, Papa Francesco ha detto: «Prestavano il loro servizio a El Salvador nel contesto della guerra civile. Con impegno evangelico e correndo grandi rischi portavano cibo e medicinali agli sfollati e aiutavano le famiglie più povere. Queste donne vissero la loro fede con grande generosità. Sono un esempio per tutti a diventare fedeli discepoli missionari». È questa la chiave di lettura con cui possono essere considerate le vicende terrene dei missionari uccisi: parroci che condividevano tutto quello che avevano con la gente affidata alle loro cure, colpiti da malviventi disperati oppure vittime di una delle persone emarginate cui dedicavano ogni giorno della loro vita; religiose impegnate nell’educazione delle giovani generazioni che non hanno esitato a mettere a rischio la loro vita pur di salvare i ragazzi loro affidati; o ancora i giovani che condividevano l’impegno cristiano con entusiasmo e convinzione in situazioni di cieca violenza; catechisti laici impegnati ad essere operatori di pace e testimoni della fede. All’elenco redatto annualmente da Fides se ne deve aggiungere un altro, molto più lungo, che comprende operatori pastorali o semplici cattolici aggrediti, malmenati, derubati, minacciati, sequestrati, uccisi, come anche quello delle strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, assalite, vandalizzate o saccheggiate. «I martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa» ha sottolineato Papa Francesco all’udienza generale del 29 aprile. In questo anno 2020, flagellato dalla pandemia di Coronavirus, non possiamo dimenticare che «tra le membra sanguinanti del corpo di Cristo» vanno annoverati centinaia di sacerdoti e di religiose, cappellani ospedalieri, operatori pastorali del mondo sanitario, come anche Vescovi, che sono venuti a mancare durante il loro servizio, prodigandosi per aiutare coloro che erano colpiti da questa malattia nei luoghi di cura o per non ridurre il loro ministero. I sacerdoti sono la seconda categoria dopo i medici che più ha pagato in Europa il suo tributo al Covid. Secondo un rapporto parziale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’ Europa, da fine febbraio a fine settembre 2020 sono morti nel continente a causa del Covid almeno 400 sacerdoti.

Silvia Guggiari

Chiesa cattolica svizzera

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