Appunti di viaggio: un giovane padre ticinese legge la figura di Giuseppe

Matteo è nato dopo un viaggio delicato, terminato con un cesareo. Quando Marine è entrata in sala operatoria sono rimasto solo. Era il 16 luglio, festa della Madonna del Carmelo, e all’inizio della quarta decina del rosario che stavo pregando la levatrice mi dice: «Luca, tutto bene, Matteo è con la mamma!». Ricordo le lacrime di gioia; ho terminato l’ultima decina e poi mi hanno portato il «piccolo» miracolo. Mi sono subito chiesto: come si tiene? Cosa faccio? Mi guardava fisso, occhi piccoli per lo sforzo, fermo, e io ho pensato: «Se è tranquillo lui, posso esserlo anch’io!». I primi 5 giorni volevo solo stare con lui, non ho chiamato nessuno, ho scritto solo un messaggio per avvisare amici e familiari. Ricordo le passeggiate serali nei corridoi dell’ospedale e le prime dormite di Matteo nelle mie braccia. Era la stessa sensazione che si prova alla fine di uno spettacolo, quando vuoi solo godere quel grande regalo, quella grande emozione.

L ’esempio di san Giuseppe
Per me san Giuseppe è simbolo dell’uomo che ascolta Dio e fa ciò che gli viene chiesto, anche quando la richiesta è profondamente difficile da capire o da affrontare. E quando ha deciso, non lo ferma più nessuno. Come papà di Gesù è arrivato a sfidare l’impero e a vedere suo figlio nascere in una mangiatoia: ciò che contava era adempiere alla sua missione. Penso che sia, per questo, un esempio per tutti gli uomini, a prescindere dalla vocazione di ciascuno.

Essere genitori
Soprattutto nei primi mesi di crescita del bambino, ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da imparare, e appena penso di aver capito o trovato il modo per rispondere ai bisogni di mio figlio devo rivedere tutto! La genitorialità è un’interessante palestra di vita, l’immersione in un grande mare, senza troppe aspettative verso la terra ferma, nuotando a stile libero! È tutto da scoprire, e io voglio esserci, proprio come san Giuseppe: esserci per insegnare a Matteo quello che so, accompagnarlo nella sua strada. Nel mentre, in questo straordinario cammino, desidero godermi le piccole cose, le piu belle, come una mano appoggiata sul suo visino in piena notte, dopo un brutto sogno, e la sua manina che tiene la mia. E così, vederlo riaddormentarsi sereno. Per amore ho preso l’aereo da solo – terrorizzato di paura – all’età di 30 anni; ora scrivo queste righe dopo aver fatto il primo volo con nostro figlio di 5 mesi. Ogni decollo è un tuffo in Dio, tanto più che le nostre paure sono sempre dietro l’angolo. È così in molti «decolli» della nostra vita, dove non è possibile avere un controllo totale di quello che accadrà. Allora mi affido al Dio dell’impossibile, al Padre che sa cosa è giusto e penso come Giuseppe: io la mia parte. Lui tutto il resto.

Luca Jegen, Locarno

Chiesa cattolica svizzera

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