Pandemia in Ticino: «occorre mantenere alta la solidarietà dimostrata durante la prima ondata»

L’esperienza del Covid 19, con tutte le misure necessarie a contenerne la diffusione, ha provocato sfide significative in tutte le aree della società, in particolare per quella parte di popolazione vulnerabile e fragile, già maggiormente esposta alla solitudine, fra cui alcuni gruppi di persone anziane. Come ci insegnano diversi studiosi, solitudine e isolamento sociale non sono però la stessa cosa. La pandemia di Covid 19 ci sta facendo sperimentare l’isolamento sociale, che si riferisce a una mancanza di contatto o separazione fisica da familiari, amici o reti sociali più ampie, alla mancanza di coinvolgimento nelle attività sociali, ed è dovuto a restrizioni ambientali, piuttosto che alla capacità di un individuo di creare o mantenere relazioni interpersonali. La solitudine invece è un’emozione complessa e soggettiva, vissuta come una sensazione di ansia e insoddisfazione associata a una mancanza di connessione o comunione con gli altri. La solitudine emotiva nasce quindi dalla percezione dell’assenza di una figura intima o da uno stretto attaccamento emotivo. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che ogni persona sperimenta la solitudine e l’isolamento sociale in un modo unico e che le nostre risposte devono essere pensate per ciascuno. I più recenti studi indicano che, se in questo 2020 in molti stiamo sperimentando l’isolamento sociale, la solitudine è conosciuta in maniera crescente da alcune frange della popolazione anziana. Queste ultime soffrono maggiormente dell’impossibilità di mantenere le abitudini di incontro, le occasioni di movimento, il festeggiare le ricorrenze familiari, il frequentare i luoghi di culto, di mantere cioè i ritmi e i riti della quotidianità che favorivano, da una parte l’inclusione sociale e dall’altra la connessione con il proprio essere e i propri punti di riferimento. Altrettanto importante il riconoscimento dell’impatto che questa situazione può generare sulle persone anziane che non hanno amici o familiari e si affidano esclusivamente all’assistenza, e che quindi possono sentirsi ulteriormente isolate e sole. Le persone anziane residenti nelle strutture hanno a loro volta sicuramente patito dell’allontanamento forzato dei propri cari, ma fortunatamente hanno potuto contare sul supporto e la vicinanza, certamente non sostitutiva, dei curanti che con affetto hanno cercato di lenire questa solitudine. Anche i familiari che recavano loro visita han no subito, accanto alla preoccupazione, lo stesso vuoto e solitudine dei propri cari, anche se della loro esperienza non ci si sta forse occupando a sufficienza. Nella prima fase della pandemia il senso di vicinato e appartenenza a una comunità si declinava in molte forme di attenzione al prossimo (videochiamate, telefonate regolari, spesa a domicilio,…) ora ci sembrano meno calde e dedicate. Questo Avvento nell’attesa del Santo Natale può diventare l’occasione per riattivare uno spirito che, nei valori dell’accoglienza e dell’inclusione, coltivi la comunione e la speranza.

Rita Pezzati, psicologa psicoterapeuta, professoressa alla SUPSI dell’invecchiamento, presidente Gruppo Invecchiamento Consapevole; Luisa Lomazzi, professoressa alla SUPSI in Sociologa delle organizzazioni, esperta in management e sistemi di qualità nella rete dei servizi agli anziani.

Chiesa cattolica svizzera

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