Quel bisogno urgente di unità e verità nella Chiesa e nella società americana

Le oltre 400 pagine del Rapporto pubblicato in questi giorni dalla Santa Sede dedicato alla ricostruzione del caso McCarrick sono un tragico reportage di abusi sessuali nei confronti di giovani e minori e di atti immorali con adulti compiuti da una delle figure ecclesiastiche più in vista e importanti della gerarchia cattolica degli Stati Uniti negli ultimi decenni. L’ex prete e ex cardinale Theodor McCarrick, 88 anni, («zio Ted» come si faceva chiamare dalle sue vittime) ha dimostrato una capacità diabolica – come hanno osservato autorevoli commentatori – riuscendo a tenere in scacco per decenni l’istituzione ecclesiastica intrappolata nella nebbia più totale tra presunte denunce, fino al 2017 senza prove, e conclamata innocenza di questo abile manipolatore. Un’innocenza difesa da McCarrick con ogni mezzo, navigando tra le divisioni della Chiesa in America e provvisoriamente conquistata con lettere, poi risultate «spergiuri», da lui scritte a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Lo stesso Rapporto commissionato da papa Bergoglio è una risposta argomentata e chiara -come molti commentatori hanno osservato- a chi ha marciato approfittando di questo caso su divisioni interne alla Chiesa statunitense, alimentandole con la confusione, in particolare l’ex Nunzio negli Stati Uniti, arcivescovo Viganò che ha brandito il caso del cardinale per attaccare Francesco. Il Rapporto dimostra invece che tra coloro che non si impegnarono fino in fondo per mettere fine alle tresche del potente ecclesiastico americano c’è da annoverare proprio lui, l’ex nunzio che ha puntato il dito contro Francesco. Viganò, a Washington da nunzio, figura centrale di raccordo tra la Chiesa americana e il Vaticano, è venuto meno ai suoi compiti, non indagando nel 2012 sull’allora cardinale quando gli fu richiesto dalla Santa Sede. Ma come agiva McCarrik? I testimoni raccontano che abusava della propria autorità per ottenere e mantenere l’accesso alle vittime. Un certo numero di persone ha riferito di essersi sentito incapace di opporsi o di resistere alle avance psicologiche o sessuali del prelato. Le prove, emerse solo nel 2017, dopo anni di «voci» smentite e indagini inadeguate della Chiesa americana, hanno potuto inchiodare solo di recente l’abile simulatore, spretato da Francesco nel 2018. Senza le normative vie via più stringenti sulla pedofilia, avviate da Giovanni Paolo II, inasprite da Benedetto XVI e completate da papa Bergoglio, la colpevolezza di McCarrick sarebbe rimasta nel limbo. Resta il dolore per le vittime, il grido di una giustizia rimasta anco ra, in buona parte, a causa della prescrizione di molti di questi delitti, lettera morta e la speranza che le mancanze nelle indagini condotte soprattutto da ecclesiastici oltre Oceano, in quegli Stati Uniti con una Chiesa divisa in frange legate ad interessi opposti, non abbiano più a ripetersi. L’unità, infatti, è la sfida dell’America di oggi: ecclesiale e sociale. Lo ha ricordato in queste ore tese nella storia di questa grande democrazia l’arcivescovo Gomez, presidente dei vescovi americani. Senza un tentativo di dialogo sereno, senza una ricerca di unità che non è uniformità, si va poco lontano. Infatti è andata poco lontano la Chiesa negli Stati Uniti, al punto che ci sono voluti 35 anni per incastrare un pedofilo così in vista, ma va probabilmente poco lontano anche il dialogo tra cattolici e società se si continua su questa strada lastricata di divisioni e scandali. Le parole dell’arcivescovo Gomez, ora più che mai, necessitano di essere fatte storia, nella speranza che il vento cambi e presto.

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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