Intervista al ticinese Roberto Simona, esperto di islam, sui recenti attentati

Solo una quindicina di giorni fa, il 18 ottobre scorso, si era tenuto a Roma l’Incontro internazionale di preghiera per la pace. Accanto ed insieme a papa Francesco, i rappresentati delle grandi religioni mondiali hanno pregato gli uni accanto agli altri. Un momento di grande bellezza e di profonda speranza, in un tempo segnato da una pandemia, che da mesi ormai ha come silenziato tutto quanto accade nel mondo, oltre all’espansione del contagio e delle sue conseguenze. Poi improvvisamente una serie di attentati di probabile matrice terroristica hanno attraversato l’Europa, da Parigi a Vienna, causando vittime, feriti, creando panico, paura e tante domande. Con Roberto Simona, esperto di islam e profondo conoscitore del Medio Oriente e dell’Asia centrale cerchiamo di capire come leggere questi attentati.

Roberto Simona, questa nuova ondata di attentati terroristici fa molto male al dialogo interreligioso… Penso che sia profondamente sbagliato mettere in relazione questi atti violenti con il dialogo interreligioso in corso. Sono atti di una violenza efferata che scuotono l’opinione pubblica in generale e i credenti in particolare, in quanto sono avvenuti all’interno di chiese, contro fedeli e preti, ortodossi, ebrei e cristiani. Ma credo che occorra avere il coraggio e soprattutto la lucidità mentale di non metterli in relazione con l’islam, portando così la questione sul terreno dello scontro tra le religioni.

Ma sono gli attentatori stessi a farlo, scegliendo le loro vittime tra i fedeli di altre religioni, colpendole all’interno di edifici sacri, pronunciando la frase «Allah Akbar»… Io credo che di fronte a questo tipo di atti vada indagato e analizzato in profondità il legame con la religione di chi li ha commessi: a partire dal suo percorso di vita. É seguendo questa pista che si arriverà (forse) a capire le ragioni di un’appartenenza e le motivazioni che hanno spinto queste persone a voler distruggere il prossimo. E questo «non per fondare non so quale pacifismo che lascerebbe campo libero alle potenze del male» come scrisse mons. Henri Teissier, l’arcivescovo di Algeri, ma «perché il mondo nuovo nasce solo là dove si propaga l’amore». L’insegnamento di questo grande uomo che nella sua vita è stato vittima di tanti atti terroristici in un contesto difficile come quello dell’Algeria, forse può aiutarci a capire qual è l’approccio che dobbiamo avere di fronte a situazioni come queste.

Quindi lei tende ad una lettura più sociale che religiosa di questi fatti? Sì. Ci sono alcuni imam o figure politiche che raccolgono il disagio di tanti giovani, utilizzandolo ai propri fini. Presentano loro un islam rivisitato, violento, radicale, che poco o nulla ha a che fare con quanto ha detto il profeta Mohammet. Atti come questi hanno una matrice politica, non religiosa. E se gli obiettivi sono chiese e luoghi di culto, è per accrescerne l’impatto: siamo di fronte ad una chiara strumentalizzazione della religione e dei testi religiosi. Certo, nel Corano, ci sono parti violente -così come ce ne sono anche nella Bibbia- ma vanno lette nel loro contesto. La religione, la fede, non c’entrano nulla con la violenza e le stragi.

In effetti anche il papa ammonisce sempre di non parlare di guerre tra religioni… Ma non è sempre facile distinguere i piani. È un fatto che l’immagine pubblica dell’islam a causa di questi fondamentalisti si è andata deteriorando negli ultimi anni… Se noi portiamo un giudizio su qualsiasi religione a partire dai peccati e dai crimini dei suoi aderenti, nessuna religione può essere associata all’immagine di Dio. Io credo che l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam siano religioni rivelate da Dio con un messaggio di bontà, di profonda umanità e che permettono di intraprendere un cammino spirituale che porta a raggiungere la vera libertà. Altrimenti il dialogo interreligioso non avrebbe nessun senso, se non quello di praticare del proselitismo. Quindi quelle persone che commettono del male nel nome della loro religione non sono rappresentanti delle rivelazioni di Dio e della religione alla quale affermano di aderire. Sicuramente non le hanno capite, hanno voluto manipolarle o sono stati manipolati.

Immediata è anche arrivata da parte della Università al-Azhar del Cairo, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’islam sunnita, la dura condanna degli atti. Io penso che chiunque creda in Dio non possa approvare questi atti criminali. Ma non è né l’odio, né la paura, né la diffidenza la modalità con cui reagire. Occorre uno sguardo che sappia coniugare la giustizia con l’amore.

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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