Fratelli tutti, mons. Forte: «Traduce il Vangelo per il mondo di oggi»

Fabio Colagrande – VATICAN NEWS

Nella terza enciclica di Papa Francesco, la Fratelli tutti, firmata il 3 ottobre 2020 ad Assisi, il concetto della «fraternità» è radicato su un solido fondamento telogico, «indicato in maniera chiara ed esplicita» e «sviluppato col riferimento alle missioni del Figlio e dello Spirito, richiamate in molti modi nel testo». A sostenerlo è il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, che ha firmato l’introduzione di un’edizione commentata dell’enciclica sociale, pubblicata da Scholé-Morcelliana. Ai microfoni di Radio Vaticana Italia, mons. Forte ha definito la Fratelli tutti »la traduzione del Vangelo della carità per il mondo globalizzato del terzo millennio» e ha rintracciato nel testo gli influssi della «teologia del popolo» argentina cara a Papa Francesco. Di seguito la trascrizione dell’intervista.

R.– Io ho davanti un’obiezione che viene spesso fatta al magistero di Papa Francesco: quella di essere un magistero sociale, fortemente impegnato, ma le cui radici teologiche non sarebbero sufficientemente evidenziate. Ora io credo che la Fratelli tutti sia proprio una chiarissima smentita di questi pregiudizi, perché nell’enciclica l’idea chiave della fraternità, che è alla base dell’amore sociale, della giustizia, all’interno dei singoli paesi, oltre che nei rapporti internazionali, è un’idea che viene chiaramente radicata nel suo fondamento teologico. È radicata anzitutto nella figura del Padre del Cielo, di fronte al quale siamo tutti fratelli, poi in quella della missione del Figlio, che ci rende fratelli in Lui in quanto figli adottivi, e poi nell’azione dello Spirito. Dunque mi sembra chiarissimo che Papa Francesco annunci il Vangelo, cioè non una dottrina sociale in quanto tale ma le conseguenze sociali di una conversione del cuore a quella fraternità che è il dono di Dio fatto agli uomini per renderli capaci di amare e di accogliersi gli uni gli altri e di costruire un mondo più giusto per tutti.

In questo senso potremmo dire che la categoria fraternità viene declinata in questo enciclica in modo direttamente cristologico…

R.– Nel riflettere proprio sul motivo dominante di questo testo mi è venuto subito in mente un piccolo libro di un allora giovane teologo, Joseph Ratzinger, pubblicato nel 1960. Il libro s’intitolava proprio La fraternità cristiana: Die christliche Brüderlichkeit. Un piccolo libro ma un libro prezioso perché mette in luce come l’idea di fraternità nel cristianesimo si distingua rispetto ad altre due concezioni: quella mondana, secondo cui la fraternità sarebbe fondata unicamente sulla parità dei diritti, cioè sulla visione della Rivoluzione francese, e dall’altra parte la concezione elitaria, autoreferenziale e chiusa che invece è stata spesso invocata come una sorta di alternativa alla corruzione del mondo. Nella visione teologica cristiana la fraternità non è né l’una né l’altra di queste due visioni, ma è il dono dell’alto che ci rende fratelli, l’amore sociale su cui si fonda appunto la possibilità di costruire un mondo più giusto per tutti. Sono temi su cui poi Francesco torna diffusamente, evidenziandone vari aspetti, nello sviluppo della sua enciclica.

Il timore di alcuni è che l’etica che Papa Francesco propone con questa enciclica sociale abbia perso le sue radici e la sua identità cristiana…

R.– Non è affatto così, perché tutto il fondamento di ciò che Papa Francesco propone in questa enciclica è teologico e specificamente «trinitario». Dunque, non è vero che siamo di fronte ad una visione soltanto mondana. È vero piuttosto che nella Fratelli tutti ci sono le conseguenze mondane di questa visione profondamente teologica e queste conseguenze si esprimono nell’idea di un cuore aperto al mondo, di un mondo più giusto, dove la dignità della persona sia valorizzata e posta al centro, di un mondo che dice no alla pena di morte, ritenuta dal Papa inammissibile, e dice no alla guerra. Ma tutto questo però a partire dall’Alto, vorrei dire, cioè dal fondamento teologico di un Dio che manda il Figlio e lo Spirito fra gli uomini per realizzare fra di loro la fraternità di cui Francesco parla e le cui conseguenze sono appunto le conseguenze sociali indicate. Anche, per esempio, la visione della politica sviluppata nel capitolo quinto, quella di una politica che deve essere posta al servizio del vero bene comune, non è una visione meramente mondana. I temi fondamentali, per esempio, quello del lavoro su cui Papa Francesco tanto insiste, ma anche i temi della giustizia e della pace, la condanna dei sistemi mondiali ingiusti, sono tutti temi che vengono illuminati dalla profondità della radice teologica cui il Papa si ispira. Da questo punto di vista è veramente un testo profondamente evangelico, profondamente cristiano.

Lei in particolare ha notato nel testo le tracce della cosiddetta «teologia del popolo» argentina cara a Papa Francesco, evidente anche nell’attenzione dedicata in molti paragrafi ai «movimenti popolari»…

R.– Anche questo è un punto che mi sta a cuore perché è vero che questa enciclica dice cose che sono fondamentali per tutti nel «villaggio globale», ma è anche vero che porta fortemente l’impronta, non solo ovviamente del magistero di questo Papa, ma anche della sua profonda identità spirituale e teologica. Non dimentichiamo che Papa Francesco vive la sua vita e spende il suo ministero innanzitutto in Argentina, a Buenos Aires, e là c’è questa «teología del pueblo» che abbraccia pensatori che lui ha ben conosciuto, apprezzato e stimato: Lucio Gera, per esempio, o anche Juan Carlos Scannone, Rafael Tello. Questi sono pensatori che si ispirano, certamente, anche alla «Teologia della Liberazione» rispetto alla quale però accentuano molto di più proprio il fondamento teologico cristiano di un impegno per una maggiore giustizia sociale.

Questo vale, per esempio, anche per l’etica ecologica?

R.– Certo! Anche questa ha una profonda spiritualità e Francesco la sviluppa sia rifacendosi alla figura ispiratrice dell’enciclica, San Francesco, come accadeva per altro nella Laudato si’, sia con quei fondamenti teologici trinitari a cui accennavo prima. In altre parole, l’amore sociale che egli propone – «forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d’oggi e per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici» – non è altro che una traduzione sociale della carità. La «teología del pueblo», degli autori che ho citato prima, è orientata esattamente in questa direzione. Cito per esempio un pensiero del teologo argentino Rafael Tello che dice: «Cosa diciamo quando parliamo di popolo? Non semplicemente strutture sociali mondane, ma un insieme di persone che non camminano come individui, ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti». Questa è una visione profondamente vicina al cristianesimo perché la «communio» cristiana, non è semplicemente una somma di individui per garantire gli interessi ma è una condivisione fondata su una radice spirituale –  l’azione dello Spirito Santo la «Sequela Christi» – e che si orienta al mondo intero in spirito di servizio e di donazione. In questo senso, quindi, io non esito a dire che Fratelli tutti è la traduzione del Vangelo della carità per questo mondo globalizzato degli inizi del terzo millennio.

Chiesa cattolica svizzera

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