Commento. Le ripercussioni sul dialogo dell'enciclica «Fratelli tutti» di Bergoglio

All’inizio di questa settimana è stato reso disponibile, sulla piattaforma FutureLearn, un corso gratuito in lingua inglese per formare al dialogo interreligioso, organizzato dalla Facoltà di teologia di Lugano. Uno dei partecipanti, collegato dall’Oregon, negli Stati Uniti, dice che è stato spinto a iscriversi al corso proprio dalla lettura dell’Enciclica Fratelli tutti e dalla centralità che in essa ha il tema del dialogo fra le religioni. In effetti, fin dalle prime pagine dell’Enciclica viene fatto riferimento a questo tema. Sulla scorta di S. Francesco, che andò a incontrare il Sultano, da subito è affermato che l’Enciclica «raccoglie e sviluppa grandi temi», esposti nella dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco e dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, dove già veniva detto che Dio ha chiamato tutti gli esseri umani «a convivere come fratelli fra di loro». Ecco dunque il senso dell’espressione «fratelli tutti». Ecco perché il principio della fraternità non è tanto quello proclamato dalla rivoluzione francese – anche se è stato poi il più disatteso, a favore delle successive rivendicazioni degli altri principi della libertà e dell’uguaglianza – ma è quello che rimanda all’esperienza di una comune creaturalità umana. In questa prospettiva comprendiamo perché nell’enciclica troviamo un capitolo – l’ottavo – intitolato Le religioni al servizio della fraternità nel mondo. Esso costituisce il momento conclusivo della presentazione delle differenti forme di fratellanza concreta che incontriamo nei capitoli precedenti, dopo la consueta analisi iniziale della contemporaneità e l’analisi di alcuni riferimenti biblici. Tali forme sono quelle, rispettivamente, attraverso cui si realizza l’amore, in un processo di progressivo allargamento a una dimensione universale, quelle in cui si sviluppa un’economia che tenga conto della destinazione comune dei beni della terra e che sappia superare le frontiere promovendo un fecondo interscambio fra i popoli, e quelle mediante cui si costruisce un vero dialogo tra gli esseri umani. Ma tutto ciò ha il suo terreno di attuazione e il suo banco di prova proprio nel dialogo fra le religioni. Le religioni offrono infatti «un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» nella misura in cui esse partono proprio «dal riconoscimento del valore di ogni persona umana». Citando di nuovo il documento di Abu Dhabi, l’enciclica rivendica il ruolo delle religioni per promuovere la giustizia e la pace, rigettando ogni integralismo, e per rendere concreta «la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Tutto ciò non solo richiede lo sviluppo di un’autentica identità cristiana, capace di comprendere «la bellezza dell’invito all’amore universale», ma soprattutto permette di riscoprirla e di rafforzarla, proprio attraverso le sfide che sono proprie della nostra epoca, e che continuano a metterci alla prova.

Adriano Fabris, direttore Istituto ReTe, facoltà di teologia di Lugano

Chiesa cattolica svizzera

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