Oggi sugli altari il ragazzo con le sneakers: Carlo Acutis

Non so a chi può far pensare una frase di questo tipo: «Essere unito a Gesù è il mio programma di vita». Un monaco, una suora o un prete? Nel caso specifico si tratta di un ragazzo di 15 anni, Carlo Acutis, nato nel 1991, a Londra, in una famiglia italiana. Cosa ha fatto Carlo, poi cresciuto a Milano e morto nel 2006, per concretizzare questa frase al punto che la Chiesa riconosce nella sua vita gli elementi caratteristici di un santo? Facciamo un breve riassuntino: non faceva miracoli, non ha fatto cose straordinarie, andava a scuola, portava t-shirt, jeans e sneakers, aveva una famiglia normale, anzi più che benestante, degli amici offline e online, giocava a calcio, era appassionato di musica, navigava nella rete e nei social e citava Steve Jobs. Poi faceva della carità, si impegnava per i poveri. Pregava e andava a messa. Certo, non capita spesso di incontrare un ragazzo che negli anni 2000 va a messa tutti i giorni e prega lungamente davanti al Santissimo Sacramento. Questa sua ultima caratteristica era probabilmente la «bizzarria» più evidente in rapporto ai suoi compagni di scuola, di calcio, di musica e di tutto il resto. Carlo Acutis però non è diventato santo per essere andato a messa tutti i giorni, ma per aver tradotto quella messa in un programma di vita con Gesù, compagno e amico, modello ispiratore a scuola, senso del suo divertirsi, navigare, dedicare tempo agli altri, vivere insomma. Cristo ha dato senso e pienezza alla vita di Carlo, gli ha dato la motivazione di fondo per tutto. Acutis viene raccontato come un giovane felice, con i piedi piantati per terra; un ragazzo ritenuto dai compagni un piccolo genio informatico che pensa in termini di logica matematica applicata. Ma il suo cuore è saldamente custodito nel mistero di Dio. Questa forza interiore non è venuta meno nei giorni della rapida e fatale leucemia. Poi sì, c’è stato anche il miracolo, il segno riconosciuto dalla Chiesa e dalla scienza di una guarigione inspiegabile di un bambino brasiliano, dopo che i genitori del piccolo hanno pregato alla memoria di Carlo. Quale messaggio manda la Chiesa con questa beatificazione? Tanti e diversi. Vediamone alcuni. Ai credenti: la beatificazione non è riservata a personaggi da nicchia, ma è alla portata di tutti, anche della gente comune. Diventare santi non è un premio, un trofeo da bacheca, una vittoria. È la dichiarazione di un rapporto serio (non serioso) con Cristo, che si fa storia concreta nella vita di una persona, pregi e difetti compresi. Perché i santi non sono esseri perfetti. Cosa può dire a questo tempo una beatificazione così? Siamo in un’epoca nichilista, c’è chi si lascia vivere, chi vive a tutta senza fermarsi mai a pensare perché non ha il tempo o la voglia di farlo e chi – ancora – pensa che la realtà sia solo ciò che si vede: i soldi, il successo, la carriera. Carlo non ha rinunciato alla vita e ai suoi ritmi scolastici, sportivi, tecnici, informatici, al divertimento e alle amicizie. Ha vissuto tutto ma non limitandosi a questo tutto, perché sopra o attorno c’era la fede, c’era Dio. Il suo è stato un «sì» senza esitazione alla vita dove e come l’ha ricevuta ma non limitandosi a quella: ha scommesso su Dio, ha aperto l’orizzonte dell’immediato all’accoglienza del Mistero e quel Mistero non è rimasto lì come un’ipotesi ma si è fatto per lui incontro, senso, motivazione, energia esistenziale. Il filosofo e matematico Blaise Pascal lo ricorda: non si «vince tutto» – alla fine – «se si scommette su Dio»?

In occasione della Beatificazione del giovane Carlo Acutis, Tv2000 (canale 28 dt e 157 Sky) trasmette, alle ore 16.30, in diretta dalla Basilica superiore di San Francesco ad Assisi la Santa Messa, presieduta dal legato pontificio per le basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli il cardinale Agostino Vallini. In seconda serata in onda il documentario ›La mia autostrada per il cielo’, di Matteo Ceccarelli, sulla vita del giovane e sul suo rapporto con l’Eucarestia.

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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