Don Roberto: «Una vita consumata per gli altri, un sorriso che affascinava, stupiva e interrogava».

Si è tenuta questa mattina nella Cattedrale di Como la messa di suffragio di don Roberto Malgesini. La città e l’intera Diocesi e si sono stretti in preghiera in ricordo del sacerdote ucciso martedì. Nella Cattedrale, con l’ingresso a un numero l’imitato di persone causa ristrettezze Covid, erano presenti i familiari, i presbiteri, le autorità, i fedeli delle parrocchie di Regoledo, dove don Roberto è nato e cresciuto, e delle parrocchie in cui ha esercitato il suo ministero pastorale e, non ultimi, i fratelli a le sorelle ai quali egli ha voluto più bene: i poveri della città. Numerosi i Vescovi presenti. Ha presieduto la celebrazione il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità papa Francesco, che al termine ella funzione ha detto «Non c’è amore più grande che dare la propria vita per i propri amici. I poveri erano i suoi amici».

In città, tre maxi schermi allestiti in tre piazze diverse hanno dato la possibilità di assistere alla celebrazione alle numerose persone rimaste fuori dalla Cattedrale.

Ecco alcuni stralci dell’intensa omelia pronunciata da mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como.

«Condividiamo il dolore per la tragica morte di don Roberto, ma nello stesso tempo ci rendiamo conto che il suo sacrificio d’amore spalanca alla Chiesa e a tutta la società la possibilità di una straordinaria, inimmaginabile fecondità, che tocca a noi tutti però sviluppare con determinato coraggio evangelico, perché l’esempio di don Roberto non sia vano! Con la vittoria di Cristo, di cui facciamo memoria in questa Eucaristia, la morte è sconfitta, non ha l’ultima parola. È inaugurata un’aurora di vita, che fa sperare in una splendida fioritura, a vantaggio del mondo intero. I «cieli nuovi e la terra nuova», annunciati nel libro dell’Apocalisse, capovolgono la visione abitudinaria del mondo vecchio, fondato sulla violenza e sulla ricchezza, sul prevalere del potente sul debole, sul predominio dei più astuti. Nei cieli nuovi e nella terra nuova vince la debolezza dell’amore, che sembra soffocato e che invece irrompe con una vitalità sempre nuova, perché dà spazio a tutti, fa ripartire il mondo a partire dagli ultimi, generando così l’auspicata «cultura della misericordia». È la conseguenza del chicco di grano, di evangelica memoria, che caduto in terra muore e produce molto frutto. È il ripetersi della medesima logica che da sempre si sviluppa nella storia della Chiesa, lungo i secoli, così che i suoi martiri diventano segno di una eterna, rinnovata giovinezza. Il sacrificio di don Roberto, martire della carità e della misericordia, è l’ultimo anello di una lunga catena di miti testimoni del Signore, appassionati annunciatori del Vangelo a servizio della dignità di ogni persona, che riempiono di luce il cammino della nostra vita, ma anche ci interpellano a fondo e ci impegnano a proseguirne l’azione».

«Don Roberto manteneva i piedi per terra, ma quotidianamente alimentava la sua speranza con la fedeltà nella preghiera, a cui dava lungo spazio prima di iniziare il suo servizio. Possedeva uno sguardo contemplativo, con cui sapeva intravvedere i «cieli nuovi e la terra nuova» promessi dall’albero della croce, quell’albero di vita, offerto il mattino di Pasqua, dall’Agnello ferito e vincitore, il risorto Signore Gesù. Ecco il segreto della sua vita consumata fino al dono totale di sé, ecco spiegato il suo sorriso che affascinava, stupiva e interrogava quanti lo incontravano. Don Roberto ci ha insegnato a mettere i poveri al centro delle nostre attenzioni e delle nostre cure, da qui la necessità di una presenza d’amore verso tutti, senza attendersi ringraziamenti o riconoscimenti umani, in piena gratuità. Si tratta di una strada di guarigione dal nostro cuore ferito dal peccato, per assomigliare al Padre che è perfetto. Egli non rinnega mai la sua paternità. Da qui l’invito a pregare perfino per coloro che ci fanno del male.
Ecco perché don Roberto non è solo un «martire della carità», ma è anche un «martire della misericordia». La carità e l’amore si donano, ma è proprio della misericordia andare oltre, fino a spogliarsi di sé, farsi piccola e umiliarsi, facendosi debole con i deboli e povera con i poveri, sull’esempio di Gesù, che da ricco che era si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà. Per questo la misericordia è vulnerabile e per questo il male alza continuamente contro di lei il suo calcagno, come fece contro il Figlio di Dio. Dio non vuole il male, è il male invece, che rifiutando la misericordia, si scaglia contro di essa. Ancora una volta, attraverso il martirio di don Roberto, noi possiamo contemplare e comprendere che cosa significa che Dio è amore, carità e misericordia. Egli è amore in se stesso, carità che si dona, misericordia che si spoglia e si umilia».

Chiesa cattolica svizzera

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