«Esplorare la sacralità della vita decifrando quella del mondo»

Qual è il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo? La terra, – se diamo fede alla tradizione ebraico-cristiana. Il «Tempo del Creato» che inizia il 1. settembre e si concluderà il 4 ottobre 2020, festa di San Francesco d’Assisi, è un mese di riflessione e impegno proposto dalla Chiesa cattolica e da altre comunità cristiane sul tema dell’ambiente. Certo, davanti a questa questione, urgente ma anche strumentalizzata, consensi e obiezioni si alternano. Oltre i vari schieramenti e le diverse posizioni, conviene riguardare da cristiani all’essenziale: alla terra come luogo d’incontro tra Dio e l’uomo e alla persona di Gesù Cristo che questo incontro in questa terra ha reso tangibile e personale. La Bibbia non si apre forse con il racconto poetico della creazione? E Gesù non era uomo e Dio che viveva un rapporto continuo con la natura? Lo incontriamo nei Vangeli: nei suoi spostamenti a piedi, in barca, con tragitti lunghi e costanti nel territorio della Palestina; lo vediamo guardare la natura e farla «parlare» in tante parabole che hanno al centro del racconto alberi, semi, frutti, animali, fiori, campi, montagne e laghi. Basterebbero questi brevi riferimenti sia allo sguardo poetico, estetico e contemplativo dell’autore del testo biblico della creazione, sia a quello del giovane Messia che attraversa la Palestina e fa «parlare» la natura narrando di Dio, per cominciare a dare ragione a quanto scrive papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ riguardo al creato come interconnessione tra l’uomo e l’ambiente. «Si capisce meglio – sottolinea Bergoglio- l’importanza e il significato di qualsiasi creatura se la si contempla nell’insieme del piano di Dio» (LS 86). Infatti, se la terra è il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo celebrato poeticamente fin dalle prime righe della Bibbia ed espresso nella vita di Gesù, non è questa terra, quindi da definirsi «sacra»? E se è sacra non è da curare e rispettare e da considerare in un rapporto interconnesso con l’umanità, secondo la bella tradizione francescana che fa la natura «sorella» minore dell’uomo, mentre inneggia e fonda il rapporto con essa nell’Altissimo? Tante volte, invece, la natura ci viene incontro solo come il nemico che fa male. Forse ci potrebbe essere d’aiuto uno sguardo estetico e contemplativo, figlio dell’«antica» spiritualità biblica e francescana, per leggere la natura non come l’accadere del singolo fenomeno minaccioso ma nella sua totalità interconnessa. Paul Ricoeur ha scritto negli anni ’60 in un testo citato nell’Enciclica e usato anni dopo da E. Leclerc come chiave di una lettura interiore del Cantico di frate sole o delle creature di san Francesco, il seguente passaggio: «Io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo » (LS 85). Concepire l’esistenza a partire da uno sguardo contemplativo è avvertire ogni giorno la natura nel cuore di questa interconnessione; la sacralità della vita «tutta» insieme alla propria: cosmo e psiche, ambiente e uomo. Questo senso del sacro è profondamente cristiano e consente di avere nei confronti del creato e dell’umanità uno stesso sguardo di cura secondo la forma dell’Ecologia integrale, urgente oggi più che mai.

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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