Ad Haiti grande è la sete di formazione, poche le risorse per soddisfarla

È a Francisco Fabres, da tre anni missionario ad Haiti per la Conferenza missionaria della Svizzera italiana, che Pierre-Andrè Dumas, vescovo della diocesi di Anse à Veau-Miragoâne, ha voluto affidare l’organizzazione di un corso per colmare le lacune di formazione dei suoi parroci più giovani e dei laici attivi nelle parrocchie.

Scopo ultimo di questa iniziativa è quello di rendere più efficace la loro attività pastorale sul territorio. Una sfida che Francisco, 62 anni, teologo e con alle spalle studi e esperienza nel campo della pedagogia, ha accolto con entusiasmo insieme a due preti haitiani, e che porterà avanti accanto al suo impegno, condiviso con Maria Laura e Sebastiano Pron, per migliorare la qualità dell’insegnamento nelle scuole della diocesi. «La formazione dei preti qui, lascia un po’ a desiderare», ci spiega. «Nel grande seminario di Port-au-Prince la formazione poggia su molta buona volontà, ma è carente, soprattutto perché mancano le risorse economiche». Il missionario è certo di trovare un’ottima rispondenza. «La maggior parte delle persone qui chiede più formazione, perché si rende conto che è importante. Ma la situazione economica è molto difficile, tanto che molti non hanno i soldi per acquistare il biglietto per il trasporto pubblico e potersi così spostare, o quelli per procurarsi penne, fogli, libri …e ciò basta a frenare la buona volontà». Ed è qui che interviene la Conferenza missionaria della Svizzera italiana, che sostiene finanziariamente questa formazione.

Il primo corso prenderà avvio all’inizio di settembre e si svolgerà sull’arco di 5 mesi. Si rivolge a una ventina di giovani parroci, ci dice Francisco, che spiega: «Sono tre gli obiettivi principali su cui punteremo. Il primo è quello di cogliere questa opportunità per creare uno spazio in cui i partecipanti possono condividere con gli altri la propria esperienza nelle parrocchie e ricevere elementi per meglio comprendere la realtà di Haiti e le risposte della Chiesa. Il secondo è quello di studiare in modo più approfondito la bibbia. Il terzo è la messa in pratica permanente del metodo ›vedere, giudicare, agire’ che consente di leggere la realtà e reagire di conseguenza. Tutto questo con lo scopo ultimo di fornire al parroco gli strumenti per fare un buon lavoro pastorale». Il ciclo di formazione, con più classi, sarà aperto anche ai numerosi laici che già operano sul territorio. Gli haitiani, secondo quanto ci riferisce Francisco Fabres, sono un popolo molto spirituale. Ed è certo che le sue parole cadranno su un terreno fertile che ne uscirà arricchito e ne sarà stimolato nella riflessione. Nella diocesi di Anse à Veau-Miragoâne si contano 33 parrocchie, più o meno tutte servite da un prete e un vicario, ma anche più di 100 cappelle disseminate sul vasto territorio, in villaggi discosti, spesso poco accessibile perché raggiungibili solo attraverso vie di comunicazione dissestate, dove il parroco giunge solo poche volte all’anno e dove tutte le attività sono gestite da un laico. «L’idea è quella di dare il via ad un movimento che porti, passo dopo passo, i laici ad avere un ruolo più attivo e ad assumersi maggiori responsabilità a livello della pastorale», sottolinea Francisco. Una volta terminato il corso si vorrebbe offrire un accompagnamento anche ai laici che operano nelle cappelle.

Tutto ciò in un contesto in cui la situazione economica è molto difficile. «Haiti non è un Paese che produce – ad esempio non ci sono industrie – e la maggior parte delle persone non ha un lavoro. Gli aiuti arrivano dall’esterno», ci spiega Francisco. Poi c’è il problema della corruzione e delle conseguenti proteste violente per chiedere giustizia, che sono all’ordine del giorno: tutto questo produce instabilità. A tutto ciò si somma la pandemia che sembra per il momento, ci dice ancora Francisco Fabres, non colpire così duramente il popolo haitiano. Attualmente i contagiati (con tampone positivo) sono, secondo l’OMS, circa 8 mila e i morti, in questi mesi, sono stati poco meno di 200. Per fortuna, aggiunge. «Gli ospedali non sarebbero, infatti, in grado di occuparsi di tutti i malati». Questi dati potrebbero però non rappresentare la situazione reale. I tamponi effettuati non sono probabilmente molti e si concentrano soprattutto nella capitale Port-Au-Prince. Le scuole, rimaste chiuse per diversi mesi, sono ufficialmente state riaperte, anche se non dappertutto e nell’incertezza delle proteste degli insegnanti, che lamentano condizioni di lavoro difficili. Il progetto della diocesi di Lugano, coordinato dalla Conferenza missionaria della Svizzera italiana, sta portando, a poco a poco, i suoi frutti. «Per migliorare l’educazione lavoriamo soprattutto con gli insegnanti e con Maria-Laura e, cerchiamo di raggiungere anche le scuole più discoste», conclude Francisco, che sottolinea il fatto che molte scuole devono ancora essere ricostruite da quando il terremoto, dieci anni fa, le rase al suolo.

Katia Guerra

Chiesa cattolica svizzera

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