LongLake, intervista a Cristicchi: «Dal dolore può nascere nuova luce. Nella pandemia ho scritto un disco»

Chi si aspetta un semplice concerto, sarà sorpreso. Simone Cristicchi sale sul palco del LongLake Festival di Lugano domenica 2 agosto. Appuntamento alle ore 21 alle Terrazze Foce (ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria, qui tutte le info): solo posti a sedere e spettatori distanziati, ma le emozioni viaggeranno comunque a piena intensità. Perché la forza del 43enne Cristicchi sta nelle parole, che siano sotto forma di canzoni, di poesie o di monologhi.

Arte a tutto tondo, espressa nei successi sanremesi (da Ti regalerò una rosa, trionfo del 2007, alla recente Abbi cura di me) come nelle interpretazioni teatrali (l’ultima pièce, Il secondo figlio di Dio, racconta la vita di un predicatore toscano dell’800). La carriera di Cristicchi si è snodata lungo un percorso originale, caratterizzato negli ultimi anni anche da una profonda ricerca spirituale. Decisivo in questo senso l’incontro con la Fraternità di don Luigi Verdi a Romena, vicino ad Arezzo. A catt.ch l’artista romano racconta la gioia dei primi concerti dopo il lockdown, e condivide le riflessioni artistiche ed esistenziali maturate in questo tempo eccezionale.

Che tipo di spettacolo ha preparato per il pubblico del LongLake?
Ho scelto di raccontare quindici anni di carriera tra musica e teatro. Leggerò anche le mie poesie, alcune scritte negli ultimi mesi. Sarà un’occasione per riflettere in maniera artistica su questo periodo che ha lasciato un segno in ciascuno di noi.

Il video della canzone Abbi cura di me, presentata al Festival di Sanremo 2019

Quali sono le sensazioni nel tornare sul palco dopo i mesi chiusi in casa?
Provo grande emozione nel vedere una comunità che torna a incontrarsi. L’arte per me è prima di tutto una forma di aggregazione culturale che ci permette di ritrovarci, di sentire vicinanza e comunione, di riconoscerci parte di un’unità più grande. E anche di interrogarci sulla realtà, grazie alle storie e alle riflessioni che porto in scena. Al pubblico di Lugano desidero fare un regalo: aprirò e chiuderò il concerto con due canzoni inedite, composte durante il lockdown.

Qualche anticipazione?
Il primo brano s’intitola Le poche cose che contano. Il tempo a casa è servito a ricatalogare le priorità della vita: per me sono l’umiltà, l’amore, il perdono, la capacità di superare una sofferenza, la ricerca della felicità. L’ultimo pezzo invece sarà Dalle tenebre alla luce ed è una preghiera laica a Dio. L’ho scritta pensando a questa entità che muove il mondo, e che nei momenti più tristi e delicati della mia vita ho sentito come una presenza vicina. Dalle tenebre alla luce è una canzone di speranza, che spero possa parlare sia ai credenti che agli atei.

Si considera un credente?
Mi considero ancora un curioso. La curiosità mi spinge a navigare anche in territori che riguardano il mondo dell’invisibile: in questa ricerca sono stato aiutato dall’incontro con sacerdoti illuminati che mi hanno guidato a leggere il Vangelo in modo concreto, con un’interpretazione forse più sanguigna rispetto a quella che mi era stata proposta da bambino. Per me la fede ha a che fare soprattutto con un senso di protezione, che ho percepito in particolare nelle difficoltà.

Ci sono state esperienze decisive in questa riscoperta della fede?
Più che singoli momenti ripenso al mio percorso complessivo. Da piccolo ho avuto problemi psicologici e soprattutto un grande dolore, la morte di mio padre a 11 anni. Potevo fare una brutta fine, invece oggi ho il privilegio di vivere del mio lavoro di artista. Pensare che tutta la sofferenza si è trasformata in bellezza mi fa dire che la vita è l’unico miracolo in cui non puoi non credere.

La poesia Il primo giorno, scritta da Cristicchi durante il lockdown

Nelle ultime settimane tante persone hanno vissuto momenti di dolore. Per molti questo è un tempo di nuove domande, e forse anche di ricerca spirituale.
A ciascuno mi sento di dire che il dolore non va sotterrato o rimosso, ma deve essere abitato. Bisogna nuotarci dentro fino a trovare una sponda a cui appoggiarsi. Fuggire dal dolore non serve: bisogna riuscire a trasformarlo in qualcosa di luminoso. Negli ultimi anni ho avuto l’occasione di incontrare diversi genitori che hanno perso un figlio, la sofferenza più atroce che ci sia. Ecco, questi uomini e donne hanno fatto un percorso e ora continuano a benedire la vita, invece di maledirla. Sono le persone più luminose che ho incontrato, la loro stessa esistenza è un insegnamento.

Nei mesi di lockdown ha trovato ispirazione per nuove composizioni?
È stato un periodo sorprendentemente prolifico. Non pubblico un album in studio dal 2013 ma in un mese e mezzo sono riuscito a comporre 12 brani, e a breve uscirà un nuovo disco. Non vedo l’ora di farlo ascoltare al mio pubblico, che mi ha aspettato a lungo con pazienza e interesse.

Che cosa ha scatenato questa produttività artistica?
Forse semplicemente il fatto di interrompere la tournée e avere finalmente l’opportunità di fermarmi. Quelli della pandemia sono stati mesi strani: da un lato c’era la paura, come tutti, di perdere delle persone care. Ma dall’altro è stato un tempo donato che mi ha permesso di sperimentare grande fermento artistico e creativo.

La Fiaba del colibrì di Cristicchi

Durante il lockdown è stata diffusa la sua fiaba del colibrì, che corre nella foresta in fiamme con poche gocce d’acqua nel becco per «fare la sua parte» nello spegnere l’incendio. Era un invito ai cittadini a dare il proprio contributo nella lotta al virus, anche solo restando a casa. Ora che si torna gradualmente alla vita, qual è la «parte» che spetta a un artista?
Credo che l’artista oggi debba diventare la voce di un popolo: ha il compito di raccontare il mondo dal suo punto di vista in modo originale. Oggi siamo circondati da un oceano di mediocrità, la musica stessa è piena di messaggi violenti. L’artista deve rimettersi in gioco, sapendo che non può mai permettersi di essere banale.

A inizio carriera diventò famoso con il tormentone Vorrei cantare come Biagio Antonacci. Oggi non solo canta, ma recita e ha pure scritto un libro, Abbi cura di me. Come si definisce dal punto di vista artistico?
Forse il termine più adatto è cantattore, nel senso che sono un ibrido: porto a teatro quello che ho imparato dalla musica e viceversa. Il teatro è diventato col tempo uno spazio di libertà che mi permette di sperimentare e presentare in modo più approfondito le ricerche a cui mi dedico (dalla vita di personaggi eccezionali, come il mistico Davide Lazzaretti, a vicende storiche come l’esodo dei profughi istriani dopo la Seconda guerra mondiale, ndr). Ma continuo ad amare la musica, che in questa fase torna a essere prioritaria con l’uscita del nuovo album.

E se dovesse riscrivere quella hit del 2005, oggi Cristicchi vorrebbe essere come…
Non c’è un modello preciso, anche se mi sento particolarmente ispirato da Franco Battiato. Mi trovo a indagare su argomenti che riguardano anche il mondo dello spirito: da questo punto di vista, Battiato è stato per me l’unico a toccare vette altissime parlando di tematiche simili con la forma artistica della canzone.

Gioele Anni

Abbi cura di me è il brano suonato a Sanremo 2019.
Nello stesso anno sono usciti anche un libro e un Best of di Cristicchi, sempre col titolo ‘Abbi cura di me’

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/intervista-a-cristicchi-in-concerto-a-longlake-che-gioia-tornare-sul-palco-dal-dolore-puo-nascere-nuova-luce/