Il parroco di Besso: «Sogno una comunità con meno programmi e più relazioni»

di don Marco Dania*

«Voglio tornare a casa, ma la casa dov’è?»  Così cantava un po’ di anni fa Jovanotti.  Le parole di questa canzone ci fanno capire, come ci sia nel cuore di ciascun essere umano una profonda nostalgia di «una casa» che sia un luogo accogliente, dove ritrovare se stessi, i propri affetti, sentirsi amati, cogliere il vero senso della vita.

Nella recente istruzione vaticana intitolata «La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa« la Congregazione per il Clero, presenta la parrocchia nella sua originale accezione come casa tra le case della gente. Nel recente tempo di lockdown, tutti siamo rimasti più a lungo nelle nostre case. Alcune di queste sono diventate un luogo di riflessione, di silenzio, ma pure di incontro con gli altri attraverso le nuove piattaforme digitali. Altre sono diventate invece luogo di confronto esasperato, di sofferente sopportazione reciproca dovuta anche agli spazi stretti, oppure di solitudine, di tristezza. Abbiamo bisogno davvero tutti di percepire ed edificare parrocchie come case dalle porte spalancate, sapendo che da un lato Cristo abita con noi e ci dona la sua pace e dall’altro noi ci impegniamo ad accogliere e sfamare tutti coloro che hanno fame di vita, di consolazione, di speranza, ma anche semplicemente del pane quotidiano. Attraverso le porte spalancate della parrocchia si entra, ma al tempo stesso si esce, per andare incontro alla gente là dove essa vive, per scendere sulla strada, dove pulsa il cuore del popolo che fa fatica, che sogna, che cerca e lì dobbiamo osservare, ascoltare e raccontare le grandi cose che il Signore ha fatto per noi.

Dalla teoria alla pratica: cosa faccio, io, parroco nella mia parrocchia?

Personalmente come parroco vorrei aprirmi per quanto mi è possibile alla conversione pastorale e sto cercando di viverla con quei parrocchiani che sono entrati anche loro in quest’ottica.  A volte, in passato ho premuto un po’ l’acceleratore sulla realizzazione dei progetti pastorali, spingendo verso un cambiamento nell’ottica dell’evangelizzazione. Ma non è più il tempo dei programmi, penso che sia invece giunto il momento di mostrare maggiore attenzione alle persone. Ci dovrebbero interessare meno le cose da fare e di più le persone. Trovo che la vera conversione pastorale sia nell’ottica delle relazioni umane. Sogno delle comunità cristiane che siano reti di relazioni umane aperte, ricche e stabili. Penso che una delle parole chiave di questo documento vaticano sia proprio la prossimità. La comunità parrocchiale è viva se sa farsi prossima, vicina a chi è solo, a chi è povero, a chi cerca il senso della propria esistenza.  Come dice il vescovo Derio di Pinerolo, «cerchiamo di creare delle reti di complici per il bene», tra persone che condividano lo stesso slancio missionario, abbiano l’apertura del cuore, la gioia di vivere fraternamente come testimoni di Cristo.  »Strada facendo», cioè in ogni momento della nostra vita, potremmo anche dire: «intanto che esistiamo, che siamo qui su questa terra, che facciamo qualsiasi cosa», raccontiamo il Vangelo come quella bella notizia che abbiamo incontrato e ci ha ricolmato di gioia.

Non esiste una parrocchia senza laici attivi

Il ruolo dei laici in questo cammino è fondamentale. Essi devono svolgere la loro funzione originale, come richiama il documento, che è la trasformazione del mondo. Credo davvero che la conversione pastorale della parrocchia, può avvenire se tutti insieme, come più volte riprende l’istruzione, siamo docili all’azione dello Spirito Santo. O la parrocchia diventa «pneumatica», cioè vive costantemente l’invocazione allo Spirito Santo, da Lui si lascia guidare nel discernimento pastorale, oppure sarà destinata a riproporre sistematicamente se stessa, come una struttura del passato, che non parla più all’uomo d’oggi. In questo senso anche il riferimento ai santuari come oasi di preghiera, dove la gente può trovare il respiro per la propria anima è molto importante.  

Penso, in estrema sintesi, che la parrocchia sia un luogo dove la gente si incontra fraternamente per dare respiro alla propria vita, per invocare lo Spirito Santo, per lodare il Signore, per trasformare la propria esistenza e spingersi al largo e portare l’annuncio della Parola di Vita a tutti coloro che soffrono, che sono soli, che cercano, che sono poveri, che hanno bisogno della consolazione di Cristo, attraverso la tenerezza dei fratelli, in una prossimità rinconquistata.

*parroco di Besso

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/il-parroco-di-besso-sogno-una-comunita-con-meno-programmi-e-piu-relazioni/