«Dall’Oglio fu sequestrato in Siria perché credeva nella fratellanza umana»

L’uomo indossa un giubbotto esplosivo e tiene in mano un mitra. Giura solennemente: nessuno straniero è entrato nel Governatorato di Raqqa, in Siria, per tutta la giornata. Sta mentendo, e gli amici di padre Paolo Dall’Oglio lo sanno: quella stessa mattina, il 29 luglio 2013, avevano accompagnato il sacerdote e religioso italiano all’incontro con i vertici del movimento fondamentalista che si è impadronito della città. Di lì a pochi mesi quel gruppo di fanatici proclamerà la nascita dello «Stato islamico» a cavallo tra Siria e Iraq. Dal 29 luglio di sette anni fa, di padre Dall’Oglio si è persa ogni traccia. Nativo di Roma, membro dei Gesuiti, si era stabilito in Siria nel 1982. Aveva fondato nell’antico monastero di Mar Musa, nel deserto, una comunità mista di cattolici e ortodossi, sempre in dialogo con la maggioranza musulmana del luogo. Nel 2012 il regime di Bashar al-Assad lo aveva espulso dal Paese: alzava la voce per difendere gli ultimi, figura ingombrante in tempo di guerra civile. Ma poi in Siria era rientrato, proprio nell’estate del 2013. Gli estremisti guadagnavano terreno nella loro guerra contro Assad: nel gioco dei potenti, a pagare era sempre la popolazione indifesa. Dall’Oglio ottiene un incontro con l’emiro Abu Luqman, capo dell’Isis a Raqqa, poi scompare nel nulla. Forse le sue parole e la sua stessa vita, testimonianza di convivenza pacifica tra fedi diverse, erano per i jihadisti una minaccia più grande di qualsiasi arma. Roberto Simona, ticinese di Locarno, ha conosciuto da vicino padre Dall’Oglio. Esperto di questioni legate alla libertà religiosa, a lungo attivo nei paesi musulmani e dell’ex Unione Sovietica per varie organizzazioni, Simona ha incontrato Dall’Oglio a Mar Musa nel 2007. Tra loro nacque un’amicizia, proseguita poi con vari incontri tra Siria ed Europa.

Roberto Simona, che ricordo ha di padre Dall’Oglio? «Un uomo umile, appassionato, che agiva con coraggio e giustizia. Al centro delle sue riflessioni c’era sempre la libertà. Questa era per lui l’esperienza del credente: crescere nella libertà e vivere insieme agli altri da fratello. A Mar Musa si respiravano questi valori: mi colpirono la semplicità, l’accoglienza, il clima di fraternità».

Dall’Oglio scrisse un libro dal titolo: Innamorato dell’Islam, credente in Gesù. Che rapporto aveva con il mondo musulmano? «Padre Paolo non faceva distinzioni. Da cristiano, era convinto di aver molto da imparare dai musulmani. Un atteggiamento fondamentale per non cadere nella grande minaccia del nostro tempo: la rappresentazione ideologica dello scontro tra religioni. Viveva il dialogo non come un negoziato tra esperti ma come relazione quotidiana, amava incontrare gli altri senza la pretesa di cambiarli».

Lei ha speranza che padre Dall’Oglio sia ancora in vita? «È difficile dirlo. In ogni caso per me padre Paolo non è scomparso, è sempre presente come un punto di riferimento grazie alla sua testimonianza. La comunità di Mar Musa è ancora attiva e i confratelli, insieme alle centinaia di persone che negli anni sono passate dal monastero, continuano a promuovere una visione del mondo basata sulla ricerca del senso profondo della vita, in opposizione alle logiche di violenza e dominio ».

Quando ha incontrato Dall’Oglio per l’ultima volta? «Dopo l’espulsione dalla Siria, nel 2012, venne in Europa per una serie di conferenze. Ci vedemmo a casa mia e parlammo di tutto, come sempre ».

Dal 2013 è più andato a Mar Musa? «Ci sono stato nel 2015 e ho mantenuto i contatti, spero di tornarci prossimamente».

Padre Dall’Oglio scomparve nella sede del nascente «Stato islamico». Perché scelse di incontrare i fondamentalisti? «Le nostre definizioni rischiano di essere fuorvianti. Cosa vuol dire «fondamentalista»? Io stesso, nel 2015, ho incontrato ragazzi che dicevano di appartenere allo Stato islamico. Erano persone semplici, disperate a causa della miseria. Quando la gente soffre, cova sentimenti di violenza; se invece vive nel giusto benessere, non assistiamo a fenomeni di radicalizzazione. Sono convinto che padre Paolo sia andato a incontrare delle persone che soffrivano, per farle riflettere e per riflettere lui stesso. Aveva sempre il desiderio di risolvere i problemi insieme agli altri».

Qual è la realtà della Siria, oggi? «Un Paese distrutto dagli interessi delle grandi potenze internazionali, dove serve soprattutto un intervento umanitario. I morti sono tantissimi, gli emigrati ancora di più, mentre chi è rimasto porta dentro di sé un dramma enorme. La guerra civile è ancora in corso, intanto la popolazione è dimenticata: bisognerà restituire speranza a un popolo che l’ha persa».

A sette anni dal rapimento, come ricordare la figura di padre Dall’Oglio? «Continuando a seguire il suo esempio. Il ricordo non dipende tanto dalla sua scomparsa quanto piuttosto dalla sua esistenza, che in fondo rispecchia quella di tanti uomini e donne per bene. Se pensassimo a lui come a un eroe, andremmo contro la sua stessa volontà».

Gioele Anni

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Chiesa cattolica svizzera

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