Messico: migranti invisibili

Anche in Messico come in tutto il mondo l’emergenza sanitaria per il coronavirus ha preso il sopravvento sulla vita quotidiana. I migranti, di cui si parlava tanto, d’improvviso sono diventati invisibili.

Certamente, tutti ci sentiamo vulnerabili e viviamo in una situazione di grande insicurezza. Tutti siamo sulla stessa barca in un mare in tempesta. D’altra parte, alcuni dispongono di qualche scialuppa di salvataggio in più, mentre tanti rischiano di essere lasciati indietro, dimenticati. I migranti e i rifugiati hanno meno accesso alle strutture sanitarie e sono oggetto anche di xenofobia e sospetto da parte della popolazione locale. Rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile, ma non va dimenticato che in Messico condividono questa condizione con tante altre categorie di persone. Le gravi conseguenze economiche della pandemia si stanno già facendo sentire in un paese in cui il 48,8% della popolazione vive in condizione di povertà.

Diverse Case del Migrante, che costituiscono una rete di appoggio fondamentale per le persone in transito per il Messico verso gli USA, sono state chiuse perché non avevano gli spazi sufficienti per garantire la sicurezza sanitaria. Le Case rimaste aperte hanno adottato misure per difendere la salute delle persone ospitate. Per questo hanno ridotto i posti a disposizione e hanno dovuto fare a meno dell’aiuto di tanti volontari, soffrendo per la diminuzione di appoggi finanziari. Molte, però, hanno cercato in tutti i modi di garantire sostegno materiale, alloggio e servizi ai migranti accolti e di offrire un ritmo di attività quotidiane.
Nel contatto con alcuni rifugiati che hanno iniziato il loro percorso di integrazione nella società messicana, abbiamo constatato delle situazioni di disagio. Alcuni hanno potuto continuare a lavorare, ma sono maggiormente esposti al rischio di contagio. Altri hanno perso il posto di lavoro, ritrovandosi di fronte a problemi come il pagamento dell’affitto o la mancanza di generi alimentari. Ci è sembrato importante aiutare alcune di queste famiglie a resistere nel periodo dell’emergenza sanitaria, condividendo nella comunione dei beni quello che abbiamo ricevuto da parrocchie o singole persone – anche in Svizzera – a
sostegno della nostra missione tra i migranti. Ma è altrettanto importante – per lavorare in rete – conoscere altre iniziative sorte per venire incontro alle difficoltà dei rifugiati, come ad esempio un servizio di ACNUR che offre aiuto materiale, psicologico e legale. Infine, sono gli stessi migranti e rifugiati che, pur nel bisogno, dimostrano tanta forza e la speranza di trovare delle soluzioni.

Con alcuni di loro e con dei giovani messicani che normalmente partecipano agli incontri presso il Centro Internacional Scalabrini di Città del Messico abbiamo organizzato dei momenti di preghiera e scambio attraverso le piattaforme digitali. In queste occasioni, insieme ci siamo fatti carico delle tante forme di sofferenza vissute dalle persone: i malati, il personale sanitario, i disoccupati, i giovani che non possono più continuare i loro studi, i più poveri, i migranti e i rifugiati. Abbiamo ricordato i defunti a causa del virus e le loro famiglie.


Siamo in un tempo di incertezza e sappiamo che ci sono tanti problemi gravi da risolvere: potremmo vivere nello scoraggiamento, nell’agitazione, nella frustrazione oppure pensando solo a salvare noi stessi. È un tempo di discernimento e di riflessione seria su come poter vivere da cristiani questo momento storico e quali piccoli o grandi passi possiamo realizzare per vivere nell’oggi il Vangelo e contribuire alla rinascita. È l’occasione per imparare a lavorare, pensare, immaginare a partire dall’incertezza, ma nella speranza… Proprio come fanno i migranti…

Luisa Deponti

Chiesa cattolica svizzera

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