C’è più gioia nel dare che nel ricevere

Tradizionalmente, la Chiesa ha sempre dedicato il mese di luglio alla devozione al Preziosissimo Sangue di Nostro Signore. Si tratta di una devozione evidentemente connessa a quella celebrata il mese precedente, ossia la devozione al Sacro Cuore (leggi l’articolo riguardante la devozione al Sacro Cuore, ndr). Ma perché farne due devozioni distinte? La risposta è semplice. Esse rimandano a due concetti legati alla tradizione della fede cattolica, distinti eppure connessi.

Come abbiamo visto, la devozione del Sacro Cuore richiama l’equilibrio, la concordia interiore, l’offerta di amore. La devozione al Preziosissimo Sangue, invece, richiama un concetto tanto nobile quanto, in verità, un po’ inviso: il concetto di sacrificio.
Si tratta di un concetto inviso perché, com’è stato spesso sottolineato anche dai Pontefici negli ultimi anni, la società contemporanea induce (volontariamente o meno) a considerare il piacere come il fine ultimo della propria vita, anziché la felicità. Sì, perché – come direbbero alcuni filosofi – piacere e felicità si oppongono per somiglianza e non per contrarietà. Ci sono cose che si oppongono perché sono assolutamente contrarie, come la luce e il buio, il caldo e il freddo, altre invece che si oppongono pur essendo simili tra loro: il piacere e la felicità sono tra queste.
Attenzione: questo non significa che il piacere è un male, tutt’altro, si tratta sempre di un dono di Dio! Il punto è capire se il piacere possa essere posto come il fine della propria vita. Il piacere, se considerato come fine delle nostre scelte quotidiane, e dunque della nostra intera esistenza, non porta alla felicità. E lo possiamo riscontrare facilmente nella vita di tutti i giorni.
Cosa c’entra dunque la felicità con il sacrificio? Nella cappella del Liceo Diocesano in via Lucino, a Breganzona, c’è una bellissima – quanto per certi versi ermetica – frase di santa Teresa di Gesù Bambino che mi ha sempre colpito: «All’estasi preferisco la monotonia del sacrificio». La risposta alla domanda di prima è dunque presto detta. Se osserviamo la realtà, scopriamo che il sacrificio è quasi una legge universale. Lo vediamo sin dalle discipline scientifiche: si attribuisce al chimico Lavoisier (1743-1794) la celebre frase secondo cui «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», ma la trasformazione implica sempre la perdita di qualcosa per ottenerne una maggiore.
Nella Scrittura, il sangue viene sempre associato ad uno dei seguenti verbi: spargere e aspergere. I due verbi sono in realtà collegati, perché lo spargimento significa la perdita, mentre l’aspersione significa l’acquisto. L’episodio biblico più importante che viene in mente a questo punto, oltre alla Crocifissione evidentemente, appartiene all’Esodo, quando il popolo ebreo sparse il sangue dell’agnello e ne asperse le porte. Come sappiamo, l’Esodo è prefigurazione della libertà che Cristo ci ha acquistato con il suo sangue: cioè perdendo la cosa più cara, la vita, rappresentata dal sangue, Cristo acquista l’oggetto del suo amore, cioè il nostro sangue, le nostre vite.
Per concludere, invito a meditare profondamente su una frase bellissima che san Paolo attribuisce al Signore, ma che non è presente nei vangeli. È una frase apparentemente banale e controintuitiva. La Scrittura è piena di paradossi simili. Ma se tale frase viene meditata, svela davvero una profondità – oserei dire rivoluzionaria – per le nostre vite: «C’è più gioia nel dare, che nel ricevere» (Atti 20,35).

Gaetano Masciullo

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/ce-piu-gioia-nel-dare-che-nel-ricevere/