Fra Martino Dotta sulle nuove povertà causate dal coronavirus

Avevamo sentito fra Martino Dotta ad aprile, in pieno lockdown. Da allora ad oggi è andato avanti il lavoro della Fondazione Francesco diretta dal frate cappuccino ticinese. Dopo una prima fase dedicata a fronteggiare l’emergenza con distribuzione di pasti alla casa Martini di Locarno e al centro sociale Bethlehem di Lugano, una successiva riapertura delle mense, il lavoro va avanti con nuove sfide. La situazione intanto è cambiata, con le riaperture economiche e sociali anche la vita quotidiana sta tornando ad una certa normalità. Però la povertà preoccupa. Le statistiche lo dichiarano e il tema è parte preponderante del dibattito pubblico. Christoph Eymann, presidente della Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (Cosas), ha confermato domenica alla NZZ am Sonntag che dall’inizio della pandemia, sono stati recensiti 8300 casi in più in Svizzera, presi a carico dall’assistenza.

Fra Martino, qual è la situazione della povertà causata o aggravata dal coronavirus? Ad inizio lockdown, quando a Locarno e Lugano abbiamo cominciato la distribuzione dei pasti da asporto, ne usufruivano soprattutto famiglie o persone le cui attività indipendenti erano ferme. Adesso stanno arrivando meno persone alla ricerca dei pasti, mentre registriamo un aumento considerevole di richieste di aiuto finanziario.

Sono soprattutto lavoratori indipendenti o dipendenti a chiedervi un aiuto finanziario? Ora come ora sono soprattutto le persone che hanno un’attività lavorativa dipendente e che sono finite in una situazione di salario ridotto con il quale non riescono a far fronte alle spese correnti, soprattutto quelle di cassa malati e affitto, quindi non a spese straordinarie come le imposte o le assicurazioni per le auto.

Come valuta il futuro? I lavoratori indipendenti stanno beneficiando della riapertura delle attività, ma capiremo realmente la portata della ripresa solo a lungo termine, nei prossimi due o tre mesi, quando molti dovranno saldare quelle fatture di cui comuni e aziende elettriche hanno prorogato i termini di pagamento.

Si dice che il lockdown ci ha dato «più tempo per gli altri». Lei come valuta l’impegno dei volontari e quale messaggio comunica la generosità messa in atto? Abbiamo avuto diverse persone in più che si sono messe a disposizione. Per rispettare le misure di prevenzione del virus non abbiamo chiesto loro di operare internamente alle nostre strutture. Alcuni li abbiamo dirottati su altri enti, altri su attività a noi necessarie, come gli acquisti per le nostre mense e la consegna dei prodotti da asporto. Devo dire che la generosità di molti cittadini si è espressa soprattutto negli aiuti che ci sono arrivati sul piano finanziario, indispensabili per poter consegnare gratuitamente i pasti, visto che chi ne usufruiva, di fatto non era neppure in grado di dare un contributo volontario. Non va dimenticato il sostegno che abbiamo ricevuto dalla Catena della Solidarietà.

C’è chi dice che usciremo migliori dalla crisi del coronavirus… Non si cambia dall’oggi al domani, men che meno da questa crisi. Papa Francesco ha dato una chiave di lettura interessate: «La pandemia non ci ha resi automaticamente migliori o peggiori», ma solo il cammino di consapevolezza che decidiamo di compiere può fare la differenza.

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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