Giuseppe Foletti: dopo la laurea in medicina la scelta di diventare prete

Partito dal Ticino per Losanna nel 2007 per studiare medicina, Giuseppe Foletti sarà ordinato prete domenica 28 giugno nella cattedrale di Friborgo, davanti a pochi amici e familiari (diretta video alle 15.00 attraverso il canale YouTube della diocesi di Friborgo). Questo per rispettare le misure di sicurezza dovute al coronavirus. Nato nel 1988, figlio del medico Claudio Foletti di Massagno e di sua moglie Franca, Giuseppe Foletti è entrato nel seminario di Friborgo subito dopo la laurea in medicina. Giuseppe riceverà il sacramento dell’ordine dalle mani di Mons. Charles Morerod, vescovo della diocesi romanda.

Giuseppe Foletti, entrare in seminario dopo i lunghi anni di studi di medicina e la successiva laurea, non è una scelta banale. Come mai questo passo? C’è stata una chiamata interiore o tutto è nato dall’esempio di altri sacerdoti? Non c’è stato un momento chiave. Piuttosto un’idea che si è fatta chiara dentro un cammino durato anni. Certo, ho conosciuto preti che vivevano la loro vocazione in modo bello, ma non avevo mai pensato a questa scelta prima di andare a Losanna. E cosa è successo? La vocazione al sacerdozio ha cominciato a farsi strada quando la mia fede ha avuto come una svolta, nel momento in cui ho scoperto che la vita cristiana poteva essere un’avventura entusiasmante per la quale vale la pena dare tutto. Anche se poi ho avuto la tentazione di tenerla a distanza, l’idea era presente, come un’evidenza che occorreva prendere sul serio.

Questa svolta nel cammino di fede è legata a un momento particolare? Si, c’è un episodio che non dimentico, anche se può sembrare piccolo. Ero alla fine del primo anno di medicina. Come tutti, dovevo spendere la maggior parte del mio tempo studiando per superare gli esami, cosa anche giusta. Non si diventa medico senza studiare. Ma ad un certo momento questo impegno mi è diventato insopportabile. Un giorno dell’estate 2008 ero sceso con altri studenti nella mensa dell’università per la pausa pranzo. Dopo un po’, mentre risalivo le scale per ritornare in biblioteca, mi sono bloccato: ero fisicamente impossibilitato ad andare avanti. Alla sola idea di studiare stavo soffocando!

E allora? Beh, sono tornato giù dagli amici e ho detto loro: «Così non ce la faccio più». Per fortuna, non mi hanno né preso in giro, né fatto la predica, ma hanno capito sia la mia fatica che il mio desiderio. Grazie al dialogo con loro ho potuto intravedere una bellezza nel modo di studiare e di vivere il quotidiano.

Nel senso che quel momento non le ha fatto nascere subito l’idea di diventare prete, ma le ha suscitato il desiderio? Esatto. Ho scoperto una maniera molto più interessante di vivere le cose che dovevo fare. E questa è la vita cristiana: la fede ha fatto nascere una luce nelle mie giornate trascorse in biblioteca. Capivo che anche lo studio poteva rispondere al mio desiderio di essere felice, di trovare una pienezza. Lo studio non era più una prigione accettata per uno scopo futuro, ma il luogo dove si giocava l’avventura della mia vita. Questa è stata la svolta. E da lì è cominciato il cammino che mi ha portato in Seminario.

Nel 2013, superati gli esami di medicina, lei ha annunciato ai compagni che dopo tanti sforzi andava a fare il prete. Come hanno reagito? Un compagno di studio mi ha dato dell’imbecille! E lo ricordo con molta gratitudine perché è stato sincero, come un vero amico deve esserlo. Secondo lui, stavo buttando via la vita! Oggettivamente era una cosa difficile da capire, soprattutto se uno non vive un’esperienza di fede. Può sembrare una follia. Ma gli sono grato perché la sua reazione mi ha provocato a ricuperare ancora una volta le ragioni per cui dicevo di sì alla chiamata del Signore. A capire perché posso affermare che non perdo niente con questa scelta, anche se continuo a pensare che la professione del medico sia affascinante.

Bene, ma perché nella diocesi di Friborgo? Perché non tornare in Ticino o eventualmente nella Fraternità San Carlo, il ramo sacerdotale di Comunione e liberazione, il movimento dove lei è cresciuto? Non so bene come rispondere. Sorprende, sì, ma bisogna ammettere che c’è sempre una parte di mistero nelle nostre scelte… Anch’io mi sono fatto tante domande, però il fatto è che sono stato molto bene a Losanna durante i miei anni di studio e mi sono affezionato al posto. Mi sono sentito a casa. Prima di entrare in seminario, ho posto la stessa domanda a un prete italiano che mi seguiva. Lui mi ha detto che dovevo avere fiducia nel Signore: se non era il posto giusto, me lo avrebbe fatto capire in tanti modi. Di fatto non ho trovato ostacoli, anzi, sono stato accolto benissimo.

Per via della pandemia, la festa dell’ordinazione sarà limitata a pochi familiari. È deluso? Sicuramente è un sacrificio. Come per un matrimonio, uno vorrebbe essere accompagnato dai volti dei suoi amici, dei suoi cari, perché fanno parte del cammino che ti ha portato lì. Ma è un sacrifico che faccio con letizia, perché dopo tanti anni di preparazione l’attesa per l’ultimo passo è comunque grande. Poi, so che la comunione con gli amici non è negata da questo fatto che, d’altro canto, impedisce di distrarsi. Così, è più evidente che al centro non ci sono io, ma un Altro. E il mio sì non vuole essere altro che un indicare Lui, il Signore.

Patrice Favre, già direttore dell’Écho Magazine

Chiesa cattolica svizzera

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