Monatti... e coronavirus

Pandemia, per quasi tutti, ha significato anche rallentamento e ripensamento del proprio presente. Per Ottavio Lurati, oggi 82enne, professore emerito dell’Università di Basilea, in particolare, questo periodo di «sospensione», in attesa della ripresa delle attività, ha significato la riscoperta e l’approfondimento, tramite alcune letture, di un passato, quello ticinese, non meno segnato da varie emergenze sanitarie.

Tra le sue mani, in particolare, è capitato anche il bel libro di Graziano Gianinazzi, «Canobbio: fatti e famiglie di tre secoli», che rievoca, come ci spiega il professore, una pagina ticinese fatta di forte solidarietà e servizio: «In questi giorni di pandemia, grazie al libro  (per cui nutro molta ammirazione) il  mio pensiero è potuto ritornare alla figura – ben nota ai ticinesi dei secoli scorsi – del cosiddetto monatto. Durante la peste del 1638, sono tanti i monatti che dalle nostre valli (soprattutto ambrosiane, ma non solo) raggiungono Milano per prestare il loro servizio.  Una pagina ticinese e un servizio di solidarietà che si ricorda ancor oggi anche grazie ad Alessandro Manzoni».

L’attenzione del professore, insegnante oltralpe, per diversi decenni di linguistica, è catturata soprattutto dagli esiti letterari del termine: «Bisogna distinguere tra il monatto netto e quello sporco: uno si occupava dei malati (seppur gravi) di peste, l’altro compiva il mesto servizio di trasportare i corpi di chi non ce l’aveva fatta». Sempre un aspetto di carattere linguistico rivela poi – come suggerisce il professore –  dell’importanza di questo mestiere per i ticinesi: sembra infatti che, proprio dal termine di «monatto», apparentemente desueto, in realtà siano derivati cognomi ticinesi molto diffusi. «Qui correggerei il Manzoni: il monatto non è, come pensava lui, chi viene pagato monatlich  (ossia, dal tedesco, «un tanto al mese») ma è l’esito linguistico del termine ticinese arcaico «monigh» che letteralmente valeva ad indicare il  «monaco»,  da noi titolo anche di deferenza e di rispetto per il sagrestano. Il sagrestano, nel vecchio uso dialettale, era infatti il monach (di qui anche i  cognomi Monaco, Monico e Monighetti) mentre con suffisso –att (vedratt, cadregatt, maronatt) era il l’inservente, che si occupava nello specifico dei morti e della loro sepoltura. Sono moltissime e di prima mano, in questa stessa direzione di ricerca storica sui cognomi, le indicazioni fornite dal libro. Esso documenta come dal Sopraceneri già nel Cinquecento scendono i Pescia, i Tunesi i Mozzetti dalla Verzasca per lo sverno del bestiame, mentre da Uri arrivano i «lavoratori del ferro»«.

Ma la pubblicazione è ricca di riferimenti anche al tema strettamente attuale della salute: «Dalle testimonianze  sulle cautele (non molto diverse dalle nostre) per evitare i contagi al racconto della vigilanza con cui, nel 1640, era chiamato ad agire il monatto netto, l’infermiere che si occupava di malati. E, per rimanere in qualche modo in tema, ecco nel 1905 ancora attive, nel nostro Cantone, osterie abilitate alla vendita di medicinali semplici». 

«Il volume, che consiglio di leggere – conclude il professore – invita ad approfondire, in realtà, molte altre figure professionali legate alla storia ticinese,  come la modenese, il rasore di ugheti, il vicanale: ma qui premeva il monatto, netto o sporco che fosse. Comunque un libro cui occorrerà spesso tornare, specialmente in questo tempo di pandemia».

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/monatti-e-coronavirus/