Franco Tanzi, medico ticinese geriatra, sull’esperienza degli over 65 nella pandemia

La spiritualità, ovvero quella ricerca continua di senso che inspira e sostiene la vita, è un tratto che contraddistingue tutti gli uomini. Nel cristianesimo la esprimiamo anche attraverso le manifestazioni comunitarie, come il culto, che danno un senso di appartenenza e di fiducia. In questo periodo di confinamento sono venute a mancare le celebrazioni liturgiche e quindi con gioia abbiamo appreso la decisione del Consiglio federale di permetterle dal 28 maggio.

«Il piano di protezione pubblicato dalla diocesi di Lugano per le celebrazioni religiose con i fedeli è molto dettagliato e completo ».

Questo è il giudizio del dottor Franco Tanzi, medico geriatra e coordinatore delle attività mediche delle case anziani in Ticino in questo periodo di pandemia. «Gli aspetti prioritari – prosegue il medico – sono le norme di distanziamento e di igiene per il celebrante, i fedeli e le superfici della chiesa. I momenti più critici sono la distribuzione della comunione, ove sarà opportuno che vi sia un volontario che ne assicuri lo svolgimento ordinato e l’uscita dalla chiesa mantenendo le distanze fra i fedeli ed evitando assembramenti sul sagrato». (Vedi la prima di catholica).

Dr. Tanzi lei si occupa di anziani. Quando si parla di loro si compie a volte l’errore di considerarli una categoria omogenea… È vero. Se da una parte possiamo considerare anziano chi ha più di 65 anni, e quindi in genere è al termine della vita professionale o già a beneficio della pensione, è evidente che dalla nascita in poi, più andiamo avanti negli anni più le persone diventano individui differenti l’uno dall’altro: non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico, spirituale e sociale. Durante questa pandemia, che colpisce in particolare le fasce più avanti negli anni, sono state emanate molte norme che non sempre hanno considerato che dietro agli ultra65enni c’è un universo molto variegato di persone. Per chi presenta una polipatologia anche molto invalidante, è stato fondamentale il contenimento nel proprio domicilio – evitando in questo modo l’esposizione al virus – mentre per l’anziano in buone condizioni bloccarlo a casa è stata una raccomandazione eccessiva.

Tanti anziani sono rimasti chiusi in casa per quasi due mesi. Come hanno vissuto questo periodo di confinamento? Dalla mia esperienza diretta ho constatato come questa situazione abbia comportato il venir meno degli stimoli quotidiani anche se c’erano le telefonate, le videoconferenze. Ma dal punto di vista fisico e mentale per molti è mancata la capacità di «attivarsi », di organizzare la giornata e mantenere un certo senso del vivere. È emersa in alcuni una sensazione di solitudine, se non proprio di abbandono, con il conseguente rischio di apatia, astenia e magari inappetenza o golosità. L’anziano «si lascia andare» e quindi non diventa più protagonista della sua giornata.

È importante che adesso ci sia questo periodo di apertura, che deve essere graduale e controllato, per permettere maggiore mobilità fisica, mentale, relazionale e spirituale e anche la partecipazione al culto.

Dr. Tanzi, lei ha dovuto chiudere il suo ambulatorio medico e le è stato chiesto di assumere la funzione di coordinatore delle attività mediche delle case anziani per cercare di dare uniformità a tutte le strutture. Come valuta l’esperienza di questi ultimi mesi? Mi ritengo una persona privilegiata perché è stata una grande esperienza umana e professionale. Ho conosciuto da vicino le autorità e i responsabili del Dipartimento sociale e sanitario del Cantone e ho toccato con mano la grande disponibilità e solidarietà di tutte le persone coinvolte: civili e sanitari di strutture e servizi privati e pubblici. C’è stato un indiscutibile risveglio dell’umano e questo mi ha impressionato. Nella vita privata, non potendo frequentare gli amici, ho percepito il rischio di cadere in una sorta di torpore, in uno stato di inattività, lasciando passare il tempo senza ricercare il senso di questo dramma che ha investito tutti in modo imprevisto ed imprevedibile. Non possiamo metterci in letargo soltanto perché non si possono fare molte cose, quindi ho cercato di reagire. Non soltanto leggendo di più ma alimentando i rapporti in famiglia e con amici e conoscenti mediante i mezzi digitali che oggi abbiamo a disposizione.

In Ticino abbiamo 69 case anziani con circa 4600 ospiti. Le strutture sono molto diverse l’una dall’altra ma tutte con l’appoggio e la sorveglianza dell’Ufficio del medico cantonale. Gli ospiti e il personale sanitario come hanno vissuto questa pandemia? La misura più drastica, mai adottata prima d’ora ma inevitabile per le circostanze, presa il 9 marzo, è stata la chiusura alle visite dei familiari e in larga misura anche ai collaboratori esterni, come fisioterapisti, ergoterapisti, terapisti in attivazione, parrucchieri. Questa misura ha circoscritto efficacemente il contagio. Infatti 39 case sono rimaste assolutamente indenni. Mentre le altre, chi più chi meno, sono state esposte al virus ma dopo la fine di marzo le infezioni sono state poche e prontamente controllate. È difficile ricostruire la catena del contagio ma sicuramente in parte sono stati i visitatori prima della metà di marzo a portare il virus e in parte possono essere stati anche il personale sanitario e alberghiero che si è contagiato inavvertitamente, nonostante le misure di protezione, ma non ha sviluppato una vera malattia. Infatti, i giovani, e le donne in particolar modo, possono contrarre un’infezione asintomatica, e quindi non accorgendosi non si sono astenuti dal lavoro. La maggior parte delle case ha potuto predisporre dei veri e propri reparti covid, utilizzando spazi non usati come le palestre e i luoghi delle attività di gruppo. Questa misura è stata molto efficace perché ha permesso di separare gli anziani contagiati dagli altri residenti della casa.

Il personale sanitario ha svolto con professionalità e umanità un lavoro encomiabile… Certamente! Consapevole della rottura relazionale avvenuta tra i residenti e i loro cari, si è per così dire, sostituito in parte ai familiari, dedicando più tempo e più qualità alla relazione. Inoltre il personale infermieristico grazie alla messa a disposizione di adeguate provvidenze terapeutiche – farmaci, dispositivi medici e in primo luogo ossigeno – è stato in grado di assumere un ruolo «simil ospedaliero» al fine di evitare eccessive ospedalizzazioni, dato che gli ospedali non potevano garantire migliori cure ai nostri pazienti molto anziani e debilitati. Le difficoltà maggiori sono state riscontrate con i pazienti affetti da disturbi cognitivi e comportamentali che, non potendo attenersi a norme igieniche,a volte hanno dovuto essere confinati in camera o in reparti protetti perché non erano in grado di assumere i necessari comportamenti di protezione verso se stessi e gli altri: come portare la mascherina o mettere i guanti. Bisogna riconoscere che il personale delle case anziani, dagli operatori sanitari al personale alberghiero, nell’occasione di questa pandemia, ha saputo compiere un salto di qualità e quantità nel lavoro. Di questo gli siamo loro particolarmente grati.

Come vede i prossimi mesi che ci attendono? Per il futuro, purtroppo, non vedo ancora la luce in fondo al tunnel, anche se siamo in un momento favorevole, dove il virus circola molto poco. Dobbiamo essere molto attenti perché l’apertura delle attività porterà verosimilmente ad un aumento dei casi di malattia dopo la metà di giugno e soprattutto in autunno, con l’arrivo della brutta stagione.

L’epidemia è lungi dall’essere vinta: il nostro obiettivo è sempre quello di limitare il numero dei contagi nell’attesa di nuove misure preventive e terapeutiche.

In Svizzera non si condividono le politiche che mirano ad una immunità di gregge, facendo ammalare tutti, a spese dei membri più fragili della comunità e con un sovraccarico del sistema sanitario.

Federico Anzini

Chiesa cattolica svizzera

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