L’Ascensione: uno degli atti più pedagogici di Cristo

di Gaetano Masciullo

La parola ›quarantena’ deriva, com’è evidente, dal numero quaranta, perché tanti erano i giorni durante i quali le navi restavano isolate nei porti durante la Peste del ›400, onde scongiurare il pericolo di ulteriore contagio. Anche noi abbiamo vissuto e stiamo vivendo la nostra quarantena ed è curioso notare come questa sia stata contemporanea a due grandi «quarantene» del tempo liturgico: la Quaresima, da una parte, e i quaranta giorni che separano la Pasqua dall’Ascensione, dall’altra. Anche gli apostoli vissero in isolamento, per paura di un nemico mortale, consolati tuttavia dalla presenza continua e reale del Risorto. Alla fine di questa quarantena, vi fu il grande evento dell’Ascensione.

San Gregorio di Nissa, un Padre della Chiesa greca, scriveva che il giorno dell’Ascensione è Episomeme, cioè il giorno della salute. Nell’esperienza della Chiesa antica, questa festa assumeva un’importanza particolare, il cui senso forse è andato un po’ perduto negli ultimi tempi. In quest’articolo, vorrei prendere alcuni spunti per un’utile riflessione dal pensiero di san Tommaso d’Aquino (Summa theologiae III, q. 57, a. 1).

L’Ascensione è uno degli atti più pedagogici compiuti da parte di Cristo. In essa, infatti, Cristo manifesta, come nel culmine, la centralità che la sua persona significa per la vita del credente. Secondo san Tommaso, l’Ascensione è servita «all’aumento della nostra fede», perché, venendo meno la percezione sensoriale della presenza di Cristo fra di noi, potessimo comprendere che Dio non è confinato in un corpo (per quanto glorioso), ma avvolge nella sua presenza tutto ciò che esiste e ci comunica dunque che la santificazione delle nostre vite deve riguardare ogni aspetto, ogni facoltà, ogni nostra intenzione; è servita «al sollevamento della nostra speranza», perché comprendessimo che il bene massimo cui aspirare è «in alto», cioè difficile da raggiungere (salire è più faticoso che scendere) e tuttavia sappiamo che si può raggiungere, perché ci è stato promesso da Colui che è asceso prima di noi; è servita «ad innalzare l’affetto della carità» verso le cose celesti, cioè ad aggiustare, per così dire, la mira del nostro amore ed avere una visione più completa (chi è in alto vede più lontano rispetto a chi è in basso). 

È interessante analizzare il significato simbolico del numero dei giorni che separarono Pasqua dall’Ascensione, cioè quaranta. 40 = 4 x 10; dove 4 rappresenta la natura umana (quattro sono le virtù cardinali, ma anche quattro sono gli elementi che compongono, secondo la cosmologia antica, il corpo dell’uomo) e 10 sono i comandamenti da osservare per il ben vivere. Vi sono poi due livelli simbolici. Il primo è un rimando alla Quaresima, cioè ai quaranta giorni di Cristo nel deserto: in questo modo, i quaranta giorni dopo Pasqua rappresentano l’umanità glorificata – rappresentata dal corpo risorto di Cristo – in opposizione all’umanità penitente – rappresentata dal Cristo vagante nel deserto. Il secondo livello è costituito da una proporzione. I quaranta giorni dopo Pasqua stanno alla vita della Chiesa (dove Gesù è davvero presente nell’Eucarestia, come fu davvero presente tra i primi credenti in quel periodo) come le quaranta ore di Gesù nel sepolcro (ebbene sì, a leggere attentamente il Vangelo, Gesù non è risorto esattamente tre giorni dopo) stanno alla vita di chi ancora non ha ricevuto il battesimo e che quindi è ancora morto alla grazia. Meditiamo dunque ed innalziamo le nostre menti insieme al Risorto.

Chiesa cattolica svizzera

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