«Anche a 96 anni è possibile guarire dal Covid». La storia di mamma Silvia

All’inizio dello scorso mese di marzo ci si interrogava ancora sulla diffusione del virus che arrivava dalla Cina, in un periodo storico caratterizzato dalla globalizzazione, con qualche timore, ma sentendo il pericolo piuttosto lontano. Poi con il passare dei giorni si son fatte largo le paure e le preoccupazioni: il virus stava arrivando in Europa ed era vicino a noi. Voglio ricordare qui l’esperienza vissuta in questo periodo con mia mamma Silvia, che ha 96 anni. A causa di una malattia che ha poi richiesto il suo ricovero in ospedale, abbiamo passato insieme alcune settimane mentre il Covid-19 stava cominciando a contagiare il Ticino.

I ricordi della Spagnola

In questa situazione sono affiorati nella mente della mamma molti ricordi, legati soprattutto alla sua infanzia vissuta a Camedo con la famiglia. Ricordava l’epidemia di Spagnola del 1918, di cui aveva tanto sentito parlare dalla sua mamma, un’epidemia che aveva causato molte paure e creato molti problemi anche economici in un periodo già molto difficile a causa della Prima Guerra mondiale. Anche allora, come oggi, si restava chiusi in casa e si accompagnavano i morti al camposanto. Più in là nei ricordi, la mamma ricorda molto bene la chiusura della scuola di Camedo, quando lei aveva 11 anni, a causa della morte, avvenuta a pochi giorni di distanza, di due giovani preti di Borgnone e Palagnedra, nelle Centovalli: erano morti di scarlattina e difterite. Queste malattie infettive dell’infanzia erano molto temute e proprio a Camedo i bambini, accompagnati dai loro genitori, partecipavano sempre il primo sabato del mese di marzo alla celebrazione di una S. Messa in onore della Madonna del Rosario, istituita per un voto fatto alla Vergine affinché facesse cessare proprio l’epidemia di difterite («u mal dal grup»).

Il ricongiungimento

Tornando al presente, il 9 marzo scorso la mamma, che viveva da sola a Giubiasco, è stata ricoverata in ospedale per iniziare una cura. L’ho accompagnata, ma il giorno successivo ho saputo che i parenti non sarebbero più potuti entrare nella struttura. Certo le cure e le attenzioni non le mancano grazie alla sensibilità del personale ospedaliero che vive con umanità e dedizione questa situazione. I nostri contatti ancora oggi si limitano alle telefonate e alle lettere. Molte persone le sono vicine: quante lettere affettuose riceve la mamma da parenti ed amici e quanto sono importanti per comunicarle la vicinanza nella difficoltà! In questo periodo, non sono mancati momenti di grande ansietà perché, oltre alla malattia che già aveva, le è stato diagnosticato il Coronavirus e così sono aumentate le paure e le angosce. La comunicazione al telefono è diventata sempre più breve e da parte della mamma si concludeva spesso con un «amen». La mamma era consapevole della sua situazione, pensava alla morte e si affidava a Dio ricordandomi: «Non siamo eterni, morire bisogna, muoiono tutti; non ti deve dispiacere, perché sono stata qui finché abbiamo voluto». Sentivo tutta la sua forza interiore maturata in tante prove affrontate nella sua vita come pure tutta la sua fede. Un giorno ho raccolto dei mughetti del suo giardino e glieli ho portati. Certo che non poterle stringere la mano o farle una carezza a causa della forzata distanza è molto doloroso. Il tempo sembrava non passare mai. Poi la situazione è migliorata: dalla polmonite la mamma è guarita.

È così ritornata la speranza tanto che, con grandissima emozione e gioia, un pomeriggio soleggiato della scorsa settimana la mamma si è affacciata al balcone dell’ospedale e mi ha parlato con l’aiuto delle infermiere che la invitavano a salutarmi dicendole: «Silvia, saluti come fa la regina…». Era da oltre un mese che non ci vedevamo!

Loredana Manfrina Lepori

Chiesa cattolica svizzera

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