Monastero di Claro, l'abbadessa: «In preghiera perché il Ticino affronti unito la pandemia»

L’Abbazia benedettina di Claro si incammina verso i 530 anni di presenza in Ticino. Fu infatti l’8 maggio 1490 che venne eretta a monastero la comunità di sorelle che da tempo aveva preso dimora presso la chiesa di Santa Maria Assunta. Al telefono, l’abbadessa madre Sofia, ci racconta di questa storia e della vita che ogni giorno, lei con una decina di monache conduce, scandita dall’ «ora et labora» della regola di san Benedetto. Così accade sulla rupe di Claro dove le monache hanno nel cuore la preghiera per tutti e lo sguardo attento alla realtà, anche in questi ardui giorni.

Madre abbadessa, si dice: «la vocazione è il cammino di tutta la vita in risposta ad una chiamata». Questa frase, in realtà, non vale solo per chi è in convento o per i preti; di fatto, tutti, cercano di realizzarsi nella vita. Per lei c’è il monastero, come mai questa scelta? «Ritengo che la vocazione sia, prima di tutto, vocazione alla vita: la vita, infatti, è di per sé un grande dono ed è la prima vocazione a cui il Signore ci chiama. Qualunque vita, di chiunque, ha un valore assoluto. Dopo la vocazione alla vita ho avuto la vocazione alla fede cristiana e poi, in seno a questa fede cattolica, ho avuto la grazia della vocazione missionaria. Prima di essere monaca sono stata missionaria in India, in Pakistan, in Nigeria, in Olanda, insomma, ho girato il mondo. La missione è testimonianza della fede in Gesù, non è proselitismo. Ad un certo punto ho capito che potevo donare l’amore di Dio non solo alle persone bisognose che incontravo in missione, ma a molti di più grazie alla vita monastica, mediante la preghiera e con l’offerta di tutta me stessa a Dio».

Perché la scelta di San Benedetto? «Il primo incontro con San Benedetto è stato di carattere culturale. Avvicinando successivamente alcuni monasteri benedettini sono rimasta affascinata dalla regola «ora et labora«, preghiera e lavoro. La liturgia ed il canto gregoriano hanno fatto il resto».

«Dolore, gratitudine, coraggio e lode», sono queste le 4 parole che si trovano nel messaggio del Papa per la giornata di domani, in cui la Chiesa prega per le vocazioni. Lei a quale di queste parole, si sente vicina in questo momento? «Dolore e coraggio direi. Noi monache di clausura siamo separate soltanto materialmente dalla società, ma spiritualmente e moralmente siamo unite a chiunque, in comunione con tutti. In questo momento partecipiamo al dolore dell’umanità, non solo fisico ma anche psicologico, affettivo e morale, causato dalla pandemia. Ma non bisogna soccombere, ci vuole il coraggio di essere positivi, di obbedire alle indicazioni date dai responsabili civili e religiosi. Il credente alimenta questo coraggio anche grazie alla fede in Dio che non ci abbandona, soprattutto in questo momento di bisogno estremo».

Come accorgersi della presenza di Gesù quando la testa è piena di tante altre preoccupazioni: la salute, la solitudine degli anziani, le ansie per l’economia della propria famiglia e della società? «In questi giorni tanti avvertono il bisogno di Dio e degli altri. Me ne rendo conto attraverso le persone che si fanno presenti in monastero per lettera o per mail. Molti sentono la necessità di rivolgersi verso il Cielo. Ma come si «sente» Dio? Non lo si può sentire in modo fisico, piuttosto si compie verso di lui un atto di fiducia, di apertura che ci fa trascendere noi stessi, levando lo sguardo verso l’alto: non è quindi un sentire materiale ma spirituale. In questo momento è anche importante pregare insieme, come Chiesa, per partecipare a questa implorazione di tutti al Signore».

Il Papa, nello stesso scritto, affronta lo sconforto, la paura che può incombere su chi ha delle responsabilità. Che incoraggiamento si sente di rivolgere a partire dal carisma di San Benedetto a chi nella società e nella Chiesa, a tutti i livelli, vive diverse forme di responsabilità in questo momento non facile? «Stiamo pregando molto per le autorità, perché lo Spirito Santo le illumini a cercare i mezzi più adatti per rispondere al bene della gente. Questo ha un aspetto materiale, ma anche psicologico e morale. La responsabilità non deve far paura, deve essere vissuta come gioia a servizio degli altri. Siamo molto grate sia a mons. Lazzeri per le disposizioni che ha dato alla comunità ecclesiale, ma pure alle autorità civili che devono cercare con molta consapevolezza ed equilibrio il bene comune. Oggi è importante collaborare tutti insieme, altrimenti non si esce da questa crisi».

Cristina Vonzun

Vi riproponiamo anche alcune contributi sul monastero di Claro, apparsi quest’anno sul nostro portale: Donne in clausura. L’incontro con l’Abbadessa di Claro (Puntata di Strada Regina). La popolazione ticinese festeggia la nuova abbazia di Claro.

Chiesa cattolica svizzera

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