L’esistenza umana è celebrare per condividere? Dalla strada di Emmaus alla vita di tutti (Lc 24,13-35)

Di seguito vi proponiamo una riflessione del prof. Ernesto Borghi, biblista, presidente dell’Associazione biblica della Svizzera italiana e Coordinatore della formazione biblica nella Diocesi di Lugano sull’odierno brano di Vangelo. Chi volesse ascoltare e vedere una lettura di questo brano evangelico tra Bibbia e Arte, può collegarsi al canale Youtube «Associazione Biblica della Svizzera Italiana» cercando la conversazione a due voci, di Ernesto Borghi e dello storico dell’arte Stefano Zuffi intitolata «I tre viandanti».

Premessa

La morte di croce di Gesù è apparsa la fine di un grande sogno: quello di cambiare la propria vita donando a molti altri la possibilità di vivere senza violenze e prevaricazioni, nella gioia di un amore pieno. Questo stato d’animo scoraggiato è stato probabilmente quello dei discepoli più stretti nelle ore seguenti all’evento del Golgota. Tuttavia il loro futuro, peraltro già preannunciato da Gesù anche nell’ultima cena, non doveva necessariamente essere quello della delusione e dell’amarezza…

Per leggere il testo

 «13Ed ecco due di loro, in quello stesso giorno, se ne stavano andando verso un villaggio, che distava sessanta stadi da Gerusalemme, il quale (aveva) nome Emmaus; 14ed essi conversavano tra loro di tutti gli avvenimenti che erano accaduti. 15 E avvenne che mentre essi conversavano e discutevano, anche Gesù stesso, avvicinatosi, si univa al loro cammino. 16Ma i loro occhi erano impediti, così da non riconoscerlo. 17Ora, disse loro: «Che parole sono queste che vi scambiate l’un l’altro, camminando?». Ed (essi) si fermarono scuri in volto. 18Ora, uno, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: «Tu solo sei così straniero a Gerusalemme e non sai quali eventi vi sono capitati in questi giorni!» 19E disse loro: «Quali?». Essi gli dissero: «Gli avvenimenti che riguardano Gesù Nazareno, che fu un uomo profeta potente in opera e parola davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i gran sacerdoti e i nostri capi lo consegnarono alla condanna di morte e lo crocifissero. 21Noi, invece, speravamo che egli fosse colui che stava per liberare Israele; ma con tutti questi fatti, è il terzo giorno che sono accadute queste cose. 22Ma anche alcune donne tra noi ci sconvolsero: essendo state al sepolcro di buon mattino, 23 e non avendo trovato il suo corpo, vennero a dire d’aver visto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli vive. 24 E alcuni (che erano) con noi andarono al sepolcro e trovarono così come avevano detto anche le donne, ma lui non (lo) videro».

 Gesù si era diretto verso Gerusalemme per giungere al culmine della sua esistenza. Due suoi discepoli si allontanano da quella stessa città dopo che gli eventi vissuti da Gesù si sono prodotti. Lungo la strada verso Emmaus essi confrontano le loro impressioni sull’accaduto: uno scambio di vedute normale e diretto, come se contemporaneamente fossero riuniti in un’assemblea e stessero discutendo di teologia (vv. 14-15a).

 Dovrebbe essere entrata in gioco per loro la dimensione della memoria, la quale però non conduce assolutamente – almeno in questo caso – ad una consapevolezza maggiore circa il soggetto di quegli eventi. Infatti Gesù si avvicina, fa propria la loro strada ed essi non sono in grado di riconoscerlo, perché i loro occhi, come dice letteralmente il testo, «erano dominati» da questa impossibilità (vv. 15b-16).

L’incontro con Gesù fa emergere palesemente la loro sofferenza e il loro desiderio di chiarificazione circa la condizione che stanno vivendo, anche se per la seconda volta non riconoscono il Maestro (v. 17). Si può affermare, a questo punto, che il presentarsi di Gesù è condizione necessaria, ma non sufficiente per il suo riconoscimento. I due viandanti, anche indispettiti per l’ignoranza manifestata dal compagno di viaggio circa i fatti di quei giorni, lo mettono a parte di essi. La storia di Gesù viene ripercorsa nella sua essenza sino alla delusione della speranza, nutrita costantemente nel passato, di vedere realizzata in Gesù la messianicità anzitutto politica, dunque la liberazione del popolo ebraico (cfr. Lc 2,34).

La frase successiva (v. 21) ha in sé una componente di ambiguità, che può essere superata, se si intende il testo come una sorta di ammiccamento lucano al lettore: parlare del «terzo giorno» dopo la morte di Gesù è un riferimento assai carico di significato, seguito dalla citazione delle testimonianze del suo ritorno alla vita dopo la morte. Si tratta di una comunicazione quest’ultima che suscita una reazione stravolgente: tutto il suo contenuto non costituisce elemento utile a superare la condizione di scoramento in cui essi si trovano, come anche il resoconto di altri uomini che si sono recati alla tomba.

 25Ed egli disse loro: «O stolti e lenti di cuore a credere in tutto quello di cui hanno parlato i Profeti! 26Non doveva il Cristo patire queste cose e (così) entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava.

Gesù rimprovera con decisione i due interlocutori, perché non hanno compreso – come le loro parole hanno dimostrato – la portata della memoria di Gesù e della crocifissione e morte. Le sue parole iniziali sottolineano la mancanza di consapevolezza di sé che ha contraddistinto la replica di costoro: l’insensatezza e la lentezza interiore li hanno dominati. Gesù è stupefatto della loro incapacità di affidarsi alle parole degli angeli, presupposto fondamentale che li ha condotti a non prestare fede alle testimonianze avute sinora.

Egli riprende storicamente il clou della sua proclamazione e missione, associando la sofferenza del Messia ad un’espressione particolarmente capace di esprimere la condizione di tale messianicità: l’ingresso nella gloria, ossia il ricongiungimento finale con la sua dignità divina eterna, la rivelazione, insomma, del suo valore intrinseco, cioè essere Dio per l’uomo.

 28E si avvicinarono al villaggio dove erano diretti, ed egli finse di andare più lontano. 29Ma (essi) lo forzarono (a fermarsi), dicendo: «Rimani con noi, poiché si fa sera e il giorno è già declinato». Ed entrò per rimanere con loro. 30E avvenne che mentre era adagiato (a tavola) con loro, avendo preso il pane, pronunciò la benedizione e, avendo(lo) spezzato, (lo) porgeva loro. 31Ora, si aprirono i loro occhi e lo riconobbero; ed egli sparì alla loro vista. 32E si dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse il nostro cuore [in noi], come ci parlava nella via, come ci apriva le Scritture?». 33E levatisi in quella stessa ora, ritornarono a Gerusalemme, e trovarono riuniti gli Undici e quelli (che erano) con loro, 34mentre dicevano: «È realmente risuscitato il Signore ed è apparso a Simone!» 35Ed essi raccontavano quello (che era accaduto) nella via e come era stato riconosciuto da loro nello spezzare il pane».

 Il viaggio prosegue, la meta è ormai quasi raggiunta, la frequentazione con questo individuo «teologicamente e biblicamente coltissimo» si è protratta per qualche tempo, eppure Gesù continua a non essere riconosciuto. Costui non intende imporre la propria presenza a nessuno, e men che meno ai suoi compagni di viaggio. Tuttavia il testo lucano, rivolgendosi anzitutto ai lettori e non ai personaggi della storia, manifesta decisamente il proposito, in realtà non vero, di proseguire oltre (v. 28b).

 A questo punto avviene un primo fatto importante: l’offerta inconsapevole d’ospitalità, manifestata con la medesima istantaneità della volontà gesuana appena menzionata, è la prima iniziativa favorevole alla prossimità di Gesù e con Gesù (v. 29a). «Ed entrò per rimanere con loro» (v. 29b). La cena che i tre condividono, è condotta secondo il percorso eucaristico, nel suo valore simbolico della morte (v. 30).

Lo spezzare il pane, la sua distribuzione sono le azioni/immagini rivelatorie di Gesù agli occhi dei suoi commensali. I loro occhi si aprono, la loro consapevolezza è adesso completa, quindi non necessitano più della presenza di colui che essi a lungo non hanno colto nella sua straordinarietà.

E la coscienza, più volte loro sfuggita, di quanto essi avevano vissuto sino a pochi momenti prima li spinge alla testimonianza immediata degli eventi loro capitati, come prova della risurrezione del Signore.

L’ora tarda non ha, nella versione lucana, alcun potere inibitorio nei confronti dell’opzione d’incontrare il Dio di Gesù Cristo e di comunicare la straordinarietà di questo incontro: i pastori (cfr. 2,15), al momento della nascita di Gesù, prendono la decisione di andare a verificare quanto era stato loro annunciato e di diffondere ovunque questa notizia eccezionale. Ed è certo serale-notturno il momento in cui i due viandanti fanno ritorno precipitosamente a Gerusalemme per far conoscere quanto è loro capitato. L’incontro avviene con la comunità cristiana al completo (v. 33) e vuole essere la sanzione storica che la risurrezione di Gesù Cristo è un fatto. La testimonianza di Pietro chiude il discorso: colui che è corso a «testare» il resoconto delle donne è l’unico al quale si afferma Gesù Cristo sia apparso.

E i due reduci riferiscono quanto hanno vissuto, distinguendo gli eventi svoltisi lungo la strada, appunto il «passato storico-biblico», da quelli verificatisi a tavola, ossia il presente dello spezzare per condividere.

Dal testo alla vita

Questo brano della versione lucana appare proprio come un itinerario dell’ingresso nella fede cristiana proprio per la sua articolazione: memoria dei fatti e detti del Signore; memoria della morte di Gesù Cristo; celebrazione di tale memoria e del valore esistenziale fondamentale di tutto ciò.

In questo quadro, risulta evidente quale possa e debba essere, in ogni tempo, la vita di coloro che cercano di essere discepoli del Dio di Gesù Cristo. È un’esistenza in cui la Parola prepara la comprensione della memoria dello spezzare per condividere, di una generosità decisiva e solidale, secondo un coinvolgimento progressivo che è possibile in ogni momento dell’esistenza, ma non si può improvvisare.

Tutto deve sfociare nella testimonianza che spezzare il pane è l’unica cosa che conta davvero, ma che occorre farlo come dice Dio. I due uomini che andavano verso Emmaus lo affermano con la loro scelta di vita: il cammino alla ricerca del senso della vita si è concluso. Ora occorre dirlo con la propria esistenza fermandosi con il Signore. Si tratta di una proposta che riguarda ogni lettrice ed ogni lettore, nella consapevolezza che questo fermarsi sia la forma di cammino più umano per tutti. Infatti il brano di Lc 24,13-35 insegna, in ultima analisi, che sul sentiero della vita percorsa dagli uomini (v. 13) c’è sempre qualcuno che desidera mettersi al loro fianco e camminare insieme.

È il Risorto, cioè il Vivente, che non ha alcuna intenzione di godere lui solo di questa sua prerogativa. Egli preferisce farne dono anche agli altri, a tutti gli altri, ogniqualvolta si riuniscono per fare memoria dell’Amore che ha vinto il male e la morte perché ha indicato a tutti che dà senso sempre alla vita di chiunque.

Ernesto Borghi,

coordinatore della formazione biblica della Diocesi di Lugano

Chiesa cattolica svizzera

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