Una mamma ticinese al suo bambino appena nato: «Abbi gli occhi sulla verità della Pasqua»

Caro Samuele,

quando quella sera del 19 febbraio, dopo tanta attesa e tante ore di dolore, finalmente eri lì tra le mie braccia, piccolo, fragile e bellissimo, per lunghi istanti per me e il papà è stato come se il tempo si fosse fermato. Mai, come nessuno d’altronde, ci saremmo aspettati che di lì a pochi giorni il mondo in un certo senso si sarebbe fermato per davvero. Quando ripenso a quei primi giorni in ospedale mi nasce spontaneo un sorriso un po’ amaro, io e tuo padre pensavamo di avere tutto il tempo per farti conoscere parenti e amici una volta arrivati a casa, e invece la maggior parte di loro sta ancora aspettando di incontrarti dal vivo. Lo scenario che ci siamo immaginati dopo la tua nascita era ben lontano da questo, mai ci saremmo aspettati di provare una lieve inquietudine nel semplice atto di fare la spesa, e nemmeno che, malgrado tutto l’affetto del «distanti ma vicini» che i nostri amici e parenti non ci fanno mai mancare, io e tuo padre ci saremmo trovati soli ad affrontare i tuoi costanti bisogni.

Mamma e papà con il piccolo Samuele.

Sai Samuele, questa situazione mi sembra impensabile, c’è paura attorno, ci sono così tante morti in solitudine, famiglie distrutte senza aver avuto nemmeno la possibilità di salutare un’ultima volta i propri cari, così tante persone in difficoltà economiche. Solitamente cerchiamo di non pensarci, ma la realtà è che ci sono Paesi che vivono ogni giorno la precarietà della vita, ogni giorno grandi sofferenze. Eppure a noi sembrano sempre così lontane, in questo Paese di pace e ricchezza economica crediamo di essere sempre al sicuro e protetti, ma questo virus, seppur a caro prezzo, ci sta facendo capire tante cose e dentro di me è diventato sempre più chiaro il desiderio di insegnarti che non si può parlare di benessere di un singolo Paese o continente, non si può, a differenza di ciò che dice Trump, parlare di «virus stranieri» perché la parola straniero ormai non ha più senso (se mai lo ha avuto). Il mondo sta diventando sempre più unito e il benessere altrui, oggi più di prima, corrisponde al nostro benessere. Se vogliamo farcela non possiamo essere individualisti ma dobbiamo avere una mentalità collettiva. Questo è anche ciò che vuole Dio, ce lo ha ripetuto tante volte, e non è forse questa, un’occasione per comprenderlo finalmente?

Prima che nascessi il mio desiderio principale era che tu fossi felice e in salute, ma ora capisco che questo non basta. Se vogliamo avere profonda gioia nel cuore, dobbiamo saper dare un senso al dolore che viviamo dentro e che ci circonda, questo credo davvero che sia l’unico modo per vivere la vita pienamente. Ci sono dolori ai quali è facile dare un significato e che rendono ogni cosa più importante e la meta più dolce, dolori simili a quello che ho provato il giorno della tua nascita. Altri dolori e rinunce, come quelli che molte persone stanno vivendo in questo momento, sono più difficili da comprendere. Come presto ti accorgerai, né io né tuo padre abbiamo risposte da darti, l’unica cosa che possiamo dirti è che Dio le risposte le ha, e che tutta questa sofferenza incomprensibile ha senso solo se smettiamo di guardare a questa vita come la sola, solo se impariamo davvero ad avere occhi eterni e fiducia in Lui, nella verità della croce, nella verità della Pasqua. Nella convinzione che qui su questa terra siamo solo di passaggio e che il nostro posto, la nostra vera casa non è qui, ma accanto a Lui.

Sì mio piccolo Samuele, se c’è qualcosa che davvero desidero e mi auguro per te, è che tu sappia rispecchiarti nel tuo prossimo senza vederlo estraneo e distante e che tu possa sempre avere uno sguardo d’eternità e fiducia sul tuo volto.

La tua mamma Veronica

Chiesa cattolica svizzera

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