Il messaggio del vescovo di Lugano per Pasqua: «L'invincibile speranza cristiana»

Il pregiudiziale sospetto che la nostra cultura nutre nei confronti di ogni forma di ritualità e di convenzione ha portato spesso, anche in passato, a chiedersi se abbia senso la festa liturgica in circostanze di evidente contrasto rispetto ai sentimenti positivi, di gioia e di fiducia, a cui la ricorrenza viene spontaneamente associata. Quante volte ci siamo chiesti come ricordare Pasqua in tempi di guerra, di terrorismo, di terremoti, di cataclismi o di disgrazie? Quest’anno, però, l’interrogativo – dobbiamo riconoscerlo – si pone con una virulenza singolare.

Non ci troveremo, infatti, soltanto di fronte al contrasto tra liturgie solenni, ricche e più partecipate del solito, e circostanze esterne contraddittorie e drammatiche. Anche il momento celebrativo assumerà una veste quanto mai ridotta e spoglia. La quasi totalità dei fedeli potrà vivere il triduo pasquale soltanto in una dimensione domestica, collegata attraverso i vari mezzi di comunicazione, e quello che potrà vedere saranno soltanto parole e gesti ridotti all’osso, con pochi segni adeguati alla grandiosità del Mistero celebrato. Riusciranno quest’anno il canto dell’Alleluia e il suono delle campane a festa a distoglierci un attimo dai drammatici e incessanti bollettini con il numero dei contagiati e dei morti? Potranno mai le nostre povere liturgie, terribilmente depotenziate da una fruizione forzatamente solo virtuale, a far passare un po’ di linfa vitale e rigenerante al nostro quotidiano, al nostro vivere di tutti i giorni, così ridimensionato e stravolto da tutto quello che ci sta capitando?

Risorti con Cristo

Qui mi sembra di non poter fare altro che cercare di ritornare al Venerdì Santo dei discepoli, alle loro vite devastate dagli avvenimenti di quei giorni tremendi. Che sconvolgimento è stata la vicenda pasquale per i discepoli di Gesù! Quegli uomini e quelle donne non solo hanno visto morire, nel modo più orribile e infamante, la Persona a cui avevano legato ormai ogni aspetto della loro esistenza. Improvvisamente, si sono trovate nella notte dove tutto è nero, dove non si è più in grado di applicare nessuna chiave di lettura a una realtà di colpo piombata nell’assurdo. Dopo il gesto profetico della Cena, in cui Gesù anticipa, con il pane spezzato e il vino versato, il significato trascendente dell’offerta che Egli fa della Sua vita, al di fuori delle bestemmie, dello scherno e delle espressioni blasfeme, ogni espressione religiosa sparisce dalla scena della passione. Una «storiaccia» del tutto profana, fatta di bassezze, di viltà e di intrighi, si snoda fino al sepolcro vuoto del mattino del giorno dopo il sabato. L’unico accenno cultuale è il nardo, l’unguento profumato, che le donne si procurano per aggiustare in qualche modo delle esequie affrettate e forzatamente rimandate a un secondo tempo. Per il resto, grande smarrimento, dolore, senso di vuoto e di vago risentimento verso sé stessi: perché ci siamo lasciati coinvolgere in una speranza, ancora una volta e più duramente, smentita dai fatti?

Ci sentiamo, quest’anno più che mai, partecipi del disincanto dei discepoli nell’ascoltare l’annuncio inverosimile delle donne. Più che mai sulla strada di Emmaus, con la triste litania delle cose che sono capitate e di cui continuiamo a discutere fra noi, senza riuscire a trovare un vero bandolo della matassa. Proprio su questo, però, occorre fissare la nostra attenzione. Non crediamo che ci possa essere un punto tanto basso della condizione umana da impedire al Vivente di accostarsi a noi, ancora sconosciuto, per comunicarci la Sua parola ardente! Non pensiamo che Egli abbia esaurito le possibilità di farsi riconoscere anche nel grigiore più fitto e nella più vasta desolazione! Non è una speranza qualsiasi quella scaturita dal sepolcro lasciato da Gesù, risuscitato dai morti. È la potenza di Dio dentro la nostra debolezza, la Sua fedeltà incrollabile all’alleanza con il Suo popolo, con ciascuno di noi, con la creazione intera. Niente è semplicemente per la morte! Si può fare Pasqua quest’anno, con il coronavirus che ancora imperversa, con una fede in gran parte privata delle espressioni liturgiche più legittime e preziose? A ben guardare la domanda va rovesciata: se non è, proprio oggi, che vale maggiormente la pena di celebrarla, quando mai riusciremo a celebrarla ancora? Irrompa, allora, nel cuore di tutti l’Amore più forte della morte, e la Vita da subito rifiorirà. Sono gli occhi lavati dalle lacrime che possono vedere più lontano e far brillare nel mondo l’invincibile speranza.

Mons. Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano

Chiesa cattolica svizzera

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