Mons. Malvestiti, vescovo di Lodi: «Un dolore troppo grande, ma nella Pasqua vediamo la speranza»

«Siamo stati il primo territorio colpito dal Coronavirus, ora sembra che saremo tra i primi a uscire dalla fase di emergenza. Lo diciamo ancora in modo confidenziale, ma i segnali degli ultimi giorni sono positivi». Monsignor Maurizio Malvestiti, 66 anni, è vescovo di Lodi dal 2014. Il 21 febbraio scorso a Codogno, nella sua diocesi, scoppiano i primi casi della pandemia che poi si estende a tutta Europa. Per il lodigiano il conto è tremendo: oltre 600 morti nel mese di marzo, una cifra quattro volte superiore a quella del 2019.

Monsignor Malvestiti, com’è oggi la situazione nella diocesi di Lodi?
Le misure restrittive stanno portando i loro frutti. Le comunità hanno accolto questa fatica con grande dignità. Dalle autorità civili, ai parroci, ai cittadini, tutti si sono comportati in modo ammirevole. Ora siamo in attesa di capire le conseguenze di questo blocco generale, ci saranno ripercussioni sotto ogni profilo. Molti saranno in difficoltà dal punto di vista economico, dalle piccole e medie imprese che puntellano il lodigiano ai lavoratori autonomi. E poi dovremo fare i conti con la tristezza di queste settimane.

Il vescovo di Lodi, mons. Malvestiti

La pandemia ha lasciato un segno nella gente.
Il dolore è stato troppo profondo, troppo improvviso. Molte persone se ne sono andate senza che i loro cari potessero accompagnarle, senza il conforto di un rito che esprimesse il cordoglio e la preghiera di suffragio. Ne hanno bisogno i defunti, perché possano essere presentati al Signore. Ma ne abbiamo forse ancor più bisogno noi che siamo nel pianto, perché possiamo essere certi di non averli perduti per sempre. Quando l’emergenza sarà finita non potremo far finta di niente, bisognerà affrontare il dolore per rielaborarlo.

Il Venerdì Santo è il giorno della Passione di Gesù. Quali sofferenze ha incontrato nelle ultime settimane?
La morte di tanti nella solitudine, la più difficile da accettare. Il silenzio della città rotto solo dal suono delle ambulanze – quasi un segno della nostra precarietà esistenziale – che finalmente in questi giorni sentiamo con meno frequenza. La visione delle bare composte nella cappella del cimitero, perché non lasciassero la nostra diocesi senza un ultimo saluto. E poi il grande dolore degli operatori sanitari, a partire dai medici che hanno lavorato sotto una pressione tremenda. Tuttavia, nel messaggio che ho rivolto ai sacerdoti in occasione della Pasqua, ho voluto dire che anche in questo tempo il Signore ci manda una parola d’amore, da decifrare nella pazienza.

Nel lutto si fanno strada i segni della speranza.
La Quaresima è stata feconda. Mi ha impressionato la solidarietà che si è instaurata tra la gente. Abbiamo rinsaldato i legami nelle nostre comunità, anche grazie ai mezzi di comunicazione: contatti via WhatsApp, catechesi e attività proposte in via telematica, le dirette delle celebrazioni che hanno avuto sempre molta partecipazione. Tante famiglie si sono sentite raggiunte da una parola di consolazione, che hanno ricambiato a loro volta. La malattia ci ha attaccato in modo feroce. Ma nel profondo, questa esperienza non ha mancato di renderci fin da ora più sapienti.

Mons. Malvestiti e l’arcivescovo Delpini di Milano, in preghiera sulla tomba di s. Bassiano

Lei è vescovo di Lodi, ma è nato nel bergamasco. Anche la sua terra d’origine è stata colpita duramente.
Per fortuna i miei famigliari sono in buona salute, tuttavia la sofferenza è stata forte anche a livello personale. Nel lodigiano contiamo quattro sacerdoti defunti, nel bergamasco addirittura 25. Conoscevo tutti loro, ad alcuni ero legato in modo particolare. Proprio nel giovedì santo, Gesù dice ai suoi discepoli: «Fate questo in memoria di me». Li invita a donarsi completamente, come ha fatto Lui: nella morte dei sacerdoti, molti dei quali si sono spesi fino all’ultimo nei loro contesti, vediamo questa carità quotidiana che è riflesso dell’amore di Dio.

Durante queste settimane ha anche ricevuto la telefonata di Papa Francesco.
Venerdì 6 marzo, alle 11.08 del mattino. Gli eventi speciali si ricordano fin nei dettagli. Mi ha colpito subito il suo tono fermo e pacato, convincente nell’esprimere affetto e conforto. Ha detto di sentirsi vicino alla nostra diocesi che era «nel fuoco» e di pregare per noi. Le sue parole di pastore ci hanno rincuorato, proprio come le parole del Pastore eterno Gesù.

Papa Francesco con il vescovo Malvestiti e alcuni sacerdoti e seminaristi lodigiani

Dopo il Venerdì Santo arriva la Pasqua.
Tra i dispiaceri di questo tempo, c’è anche il non poter condividere la festa con i fedeli. Per la prima volta in 43 anni da sacerdote non ho celebrato la messa crismale: anche l’esultanza che si sprigiona dall’olio santo sembra sospesa, come le nostre città deserte. La gente però ha capito che pur non potendo partecipare ai riti santi, la comunione con Cristo non si scioglie. Anzi lo sentiamo ancora più vicino. Il Signore non sospende il suo amore, e seppur distanti siamo ancor più un corpo e un’anima sola. Mi viene in mente l’immagine di Emmaus: camminiamo lungo la via nello sconforto, ma sappiamo che la nostra speranza vincerà contro ogni tristezza.

Che cosa dice ai cristiani la resurrezione di Gesù, in questo tempo particolare?
Pasqua è il canto dell’»Alleluia» che ci rincuora e ci dice che non siamo soli, che la morte è stata vinta. Abbiamo bisogno di sentir proclamare questo amore, lo desideriamo specialmente in questi giorni. Il tempo di Pasqua è il più opportuno per rinnovare la fiducia nel Signore. Non potremo accendere il fuoco nuovo, ma sappiamo che il fuoco di Cristo brilla nel mondo con la sua luce eterna. Le Scritture dicono che «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio»: il sepolcro vuoto ci dice che anche il pianto, più o meno nascosto, porta sempre con sé la speranza radicata nella croce di Gesù.

Chiesa cattolica svizzera

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