«La strada» di McCarthy per riscoprirsi figli

Consigliare oggi, in piena emergenza sanitaria, di leggere un romanzo come La strada di Cormac McCarthy potrebbe sembrare un po’ fuori luogo: lo si annovera spesso nell’ambito della letteratura distopica. Certo, in ogni caso la storia si staglia su un orizzonte apocalittico: tutto sulla terra è bruciato, il sole è velato, non cresce una pianta (a un certo punto però il protagonista scopre dei funghi-la vita è tenace). I bisogni sono primordiali: mangiare, riscaldarsi.  I pochi uomini superstiti si riuniscono in bande  che vagano alla ricerca di ogni cosa possa risultare ancora commestibile. Compresi i propri simili.

Un padre ha una missione da compiere: portare suo figlio al sud (dove, spera, sia più caldo e si possa vivere) seguendo la strada (il grande mito americano della strada- e quella di McCarthy è un contraltare di On the road di Kerouac) con uno sgangherato carrello per la spesa per metterci tutto quanto hanno o raccolgono lungo il cammino.

In un mondo spietato, dove gli altri sono una minaccia (d’altronde è così in tutti gli altri romanzi -non apocalittici-di McCarthy) possiamo riscoprire cosa sia la paternità ma anche cosa voglia dire sentirsi figli.

Il romanzo è uscito da Einaudi già parecchi anni fa; ne hanno tratto anche un film. Ricordo che quando lo lessi avevo un bambino di tre anni come «il figlio» del romanzo. Non potevo non immedesimarmi, e non era una sensazione allegra. Lo sconsiglio alle persone troppo sensibili. Ma è un grande romanzo con un grande finale.

Alberto Moccetti, direttore Liceo diocesano

Cormac McCarthy, La strada, Einaudi

Chiesa cattolica svizzera

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