Vivere la fede senza poter partecipare alla Santa Messa. Il commento

Non possiamo chiudere gli occhi, né giocare con le parole. La situazione è seria, difficile. Siamo nell’oscurità. Eppure se la fede ha una forza, se la Parola del Signore è credibile, se la preghiera della Chiesa ha un senso, in queste tenebre è possibile la luce. Per il credente è difficile pensare e vivere senza la celebrazione della liturgia, che è «culmine e fonte» della vita cristiana. E proprio di questo sembra che noi siamo privati. Però ci sono parole e suggerimenti, segni, che ci fanno vedere una luce. Nella prima domenica in cui siamo stati privati della celebrazione dell’Eucaristia, il vangelo ricordava l’incontro di Gesù con la donna di Samaria. Ella pone la domanda sul luogo del culto (Gerusalemme o la montagna della sua terra). La risposta di Gesù è decisiva: non solo per allora, ma per tutti i tempi. «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Quella domenica senza celebrazione, quella parola mi ha colpito: «viene l’ora ed è questa». Queste parole dette da Gesù sono per noi, per me adesso: è l’ora. Privati dalla celebrazione comunitaria, che rimane fondamentale, il desiderio del cuore credente non solo nel giorno del Signore, noi possiamo vivere e sperimentare l’essenziale: l’incontro con il Padre «in spirito e verità», cioè nella parte più vera, più profonda di noi stessi, il nostro cuore. Ancora una volta: i riti, i segni sacramentali sono fondamentali, necessari a noi creature costituite non soltanto da anima e spirito, ma anche di corpo. Sono necessari e devono (o dovrebbero) dare anche la dimensione di bellezza alla preghiera. Tuttavia, in situazione di emergenza, noi possiamo sopravvivere, anche abbastanza bene. Tante volte questo è avvenuto nella storia, soprattutto in momenti di persecuzione. Proprio oggi, in una pagina dell’ufficio delle letture, un testo di uno dei grandi vescovi dell’antichità, sant’Atanasio, ho sentito delle parole, che parlano a noi oggi. È una lettera pasquale, e il vescovo di Alessandria tratta della gioia della festa e del desiderio di essa del cuore cristiano, e poi dice che questa esperienza è possibile sempre, non solo in occasione del grande giorno, il più importante dell’anno. «La grazia della celebrazione festiva non è limitata ad un solo momento, né il suo raggio splendente si spegne al tramonto del sole, ma resta sempre disponibile per lo spirito di chi lo desidera. Esercita una continua forza su quanti hanno già la mente illuminata e giorno e notte meditano la Sacra Scrittura». Que-sto significa che possiamo sempre vivere della forza della Pasqua, e sempre della grazia domenicale. Da qui viene il sostegno e poi la possibilità di trovare, anche nella prova, la speranza. Questa mancanza provvisoria, potrebbe farci scoprire e capire meglio di quale dono straordinario disponiamo nella celebrazione dell’Eucaristia, che forse troppo spesso viviamo nell’abitudine e nella superficialità. Altro ancora dobbiamo ricordare: i mezzi di comunicazione possono aiutare la nostra fede e la nostra preghiera. Ma soprattutto il tempo della prova ci offre più occasioni di essere fedeli al grande dovere ricordato da Gesù: la vicinanza, il servizio, a qualsiasi sofferenza altrui. Non c’è preghiera o celebrazione autentica senza questo impegno. Questo allora possiamo vivere adesso: la continua attenzione a Dio «in spirito e verità» e la continua attenzione e disponibilità per chi ha bisogno di aiuto.

Azzolino Chiappini, già rettore della Facoltà di teologia di Lugano

Chiesa cattolica svizzera

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