Abitare il tempo presente

In questi giorni diversi, definiti da qualcuno di «tempo sospeso», anche se di fatto  lavoriamo – noi redattori di ComEc – tutti in homework e quindi il tempo libero addirittura mi pare molto più ridotto rispetto a prima, pur se organizzato diversamente, mi imbatto in letture, articoli, riflessioni. Leggo di chi fotografa la vita che facevamo prima del coronavirus come frenetica, liquida, piena di attività e relazioni che intasavano agende e giornate. Dal balcone di casa lo sguardo si distende sul quartiere, auto e moto che circolano a ritmo continuo sulla via di più forte traffico della mia città. «Saranno tutte persone che hanno buoni motivi per viaggiare», mi dico. Le strade laterali invece sono deserte, qualche gatto passeggia, una signora che porta a spasso il cane, attività e luoghi di aggregazione vicini a casa sono vuoti e insolitamente silenziosi. Qual è la mia posizione di credente davanti alla vita di prima, alla quarantena di oggi e al domani che non conosco? Non faccio parte della schiera di coloro che non sono abituati alla solitudine. Vivo compagnia e solitudine, da sempre, come due fondamentali dimensioni della vita. L’una ti proietta nella relazione, nel dono di sè e nell’accoglienza dell’altro e di quello che a sua volta ha da darti; l’altra, la solitudine, ti pone nel rapporto contemplativo con la realtà: il creato, l’io profondo di noi stessi, l’assoluto. Sto bene in entrambi gli ambiti, anche se so pure che entrambi hanno lati positivi e negativi, ed in entrambi ci si incontra con i propri limiti. Soli, in alta montagna, ci sono cose che ti puoi permettere e altre  che non puoi fare, come  in compagnia, nella vita di tutti i giorni, hai ancora altre regole. Ma in tutto questo, qual è la posizione del credente? Dobbiamo amare di più la vita frenetica di prima o l’apparente isolamento di oggi? Abitare il tempo presente, tutti i tempi, da quelli frenetici a quelli più lenti, dal moto continuo alla quarantena, è lo stile cristiano. Il cristiano sta nel mondo, abitando i luoghi che abitano tutti, ci ricorda la Lettera a Diogneto, un testo dei primi secoli. Sant’Agostino, che ha vissuto in tempi simili o forse più difficili di questi, offre una possibile chiave di lettura: «I tempi siamo noi: quali siamo noi quali sono i nostri tempi». Quindi, quando tornerà la frenesia la vivremo, perché abiteremo quel tempo come oggi abitiamo questo «tempo sospeso», l’apparente silenzio circostante, oppure la non facile convivenza in piccoli nuclei famigliari invasi dai tempi del telelavoro e della scuola online, con difficoltà e fatiche nuove, le notizie di parenti malati e via dicendo.  In questo tempo che viviamo oggi, noi, con le nostre motivazioni, aneliti, speranze, passioni, siamo il tempo, cioè gli diamo qualità, che vuol dire tentare di dargli un senso, cercare ogni giorno quel raggio di sole che attraversa la coltre delle nubi. Sappiamo bene che solo l’indomita speranza umana per un domani migliore, unita -nei credenti- ad uno sguardo che cerca nella fede la motivazione ultima di tutto, possono riempire e dare una qualche qualità, pur tra tutte le brutture di questi infelici giorni, all’oggi e al nostro futuro. Sono pensieri raccolti dal balcone di casa, che oso condividere, solo questo.

Chiesa cattolica svizzera

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