«Distanza fisica ma non sociale»: la parola a mons. Gmür, Presidente della Conferenza dei Vescovi Svizzeri

Per Felix Gmür, Vescovo di Basilea e presidente della Conferenza dei Vescovi svizzeri, la pandemia rivela la vulnerabilità del mondo. Secondo il presule, è importante sostenersi mutualmente, e questo anche «a distanza».

Mons. Gmûr, come sta reagendo personalmente a queste ore difficili?
Felix Gmür : Sono scioccato dal numero crescente di decessi e alla velocità con quanto tutto questo avvenga. In certi punti della Lombardia, le persone muoiono praticamente sole. Penso alle vittime e alle persone che oggi devono confrontarsi con un lutto. Non hanno neanche avuto il tempo di salutarsi.

Quali sono le priorità in questo momento?
Sicuramente tenere le distanze, anche se trovo che il termine di «distanza sociale» sia alquanto problematico.

Dobbiamo tenere una distanza fisica, non sociale. Si tratta ora di sostenersi mutualmente, di esserci per gli altri.

Come può la Chiesa essere vicina, nonostante questa distanza, alla gente?
Nella preghiera, per telefono, con i mezzi sociali.

E le persone senza smartphone?
Possiamo scrivere una lettera o far recapitare loro un messaggio. I cappellani sul nostro territorio lo sanno meglio di chiunque altro.

Qual è il posto della Chiesa in mezzo a questa emergenza?

La Chiesa ha il posto che ha sempre avuto: è qui per la gente. È accessibile e aperta.

Di tanto in tanto, l’invito è quello di andare in chiesa per pregare, anche senza che l’assemblea si riunisca come nelle Sante Messe.

Quale significato dà alla frase «Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro» ?
Questa frase è carica di speranza. È questa la nuova modalità che dobbiamo considerare di «fare Chiesa»: essere riuniti in spirito.

Quanto ha cambiato il coronavirus la sua quotidianità?
Normalmente, non sono mai a casa. Sono sempre in viaggio. Il più grande cambiamento, dunque, per me, è stato quello di essere confinato nella Curia.

È un periodo, secondo lei, di velocizzazione delle cose o di rallentamento?
In vero, entrambi. Gli eventi che per forza di cose abbiamo dovuto annullare hanno rallentato il ritmo su diversi fronti. Ma molte cose accadono ora sul web, un ambiente in cui le cose vanno molto velocemente. Anche in questi giorni, non ho un attimo di tempo libero.

Giovedì prossimo, alle 20, l’invito è quello di accendere sui nostri davanzali una candela in segno di speranza. Perché come Conferenza dei Vescovi svizzeri, congiuntamente alla Chiesa riformata, avete deciso questa iniziativa?
Pregare vicendevolmente gli uni per gli altri e accendere una candela mostra che non siamo soli, che Dio è presente.

Dovremmo sempre sostenere, in questo senso, ciò che ci unisce e ci fa sentire comunità.

La necessità di un «rinnovamento» ultimanente è stata molto affrontata dalla Conferenza dei Vescovi svizzeri…
Sì, e continua ad essere al centro dei nostri dibattiti. Sul terreno, vediamo come la Chiesa è viva, dappertutto; un frammento del Regno di Dio, anche in queste strane contengenze in cui ci troviamo, è presente. Sono molto incoraggianti le iniziative che stanno nascendo.

Il coronavirus relativizza l’importanza della mensa eucaristica?


Quella che stiamo vivendo è una condizione straordinaria. Non penso sia buona cosa paragonare un tempo simile a quanto viviamo ordinariamente.

La Chiesa ha già conosciuto altri momenti storici, in cui i fedeli non potevano celebrare l’Eucaristia. Come Vescovo, celebro quotidinamente l’Eucaristia e sono molto vicino al Popolo di Dio, anche se è una forma di solidarietà diversa dal solito.

Felix Gmür è Vescovo di Basilea e Presidente della Conferenza dei Vescovi svizzeri (CES), che, on la Chiesa riformata della Svizzera, invita a fare un segno di solidarietà, comunione e speranza, giovedì prossimo alle ore 20, accendendo ciascuno dalla finestra della propria casa una candela e invitando a pregare tutti assieme.

Cath.ch/red

Chiesa cattolica svizzera

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