Corecco: un vescovo al fianco del suo popolo

Ho conosciuto Eugenio Corecco a Roma nel 1987 prima di essere da lui accolto nella Diocesi di Lugano, in occasione di una sua visita presso la Casa di formazione dei Missionari di San Carlo Borromeo nella quale ero seminarista. Fu in una circostanza piuttosto pittoresca, perchè al momento del pranzo, volendo a tutti i costi sedermi accanto a lui, presi per sbadataggine il posto riservato al Rettore del Seminario che con mia grande vergogna dovetti a lui cedere al suo arrivo. Corecco sorridendo mi disse scherzosamente che sbagliare le precedenze è sempre pericoloso, specialmente a Roma! Nell’ilarità generale compresi sulla mia pelle la parabola degli «invitati e dei primi posti» narrata nel Vangelo di Luca, ma soprattutto non ho più dimenticato il suo sorriso e il suo sguardo, che in quel momento così imbarazzante per me, mi fecero sentire abbracciato, mettendo in luce una paternità che da allora mi ha sempre accompagnato.

Paternità che si rivelò tale negli anni successivi in Seminario, venendo a Friborgo, organizzando mini vacanze/ritiro al mare o in montagna, sciando e insegnadoci a sciare, dandosi lui per primo un tempo per starci vicino per conoscerci e per conoscerlo a nostra volta.

Era così sempre, non solo con noi, ma con tutti, soprattutto con i giovani, come potei constatare alla Giornata mondiale della gioventù di Santiago di Compostela dove la forza della sua tempra umana e giovanile di questo Vescovo «teenager» – come lo definiva amabilmente Giovanni Paolo II, si sprigionava con grande naturalezza. Questa modalità del pastore che sta sì alla testa del gregge per segnare la strada, ma che soprattutto si mette al tuo fianco per camminare con te, ha segnato profondamente la mia vita sacerdotale, stabilendo una modalità dell’impegno pastorale, specie con i giovani e le famiglie dal quale non avrei più potuto prescindere. Si imparava guardandolo, ascoltandolo e soprattutto affidandosi, specie nei frangenti di prova e di fatica che nei primi anni del mio sacerdozio non sono mancati e grazie ai quali ho potuto toccare con mano intelligenza di fede e di paternità del Vescovo Eugenio. Ho capito più avanti che la forza della paternità sacerdotale, scaturisce solo da una figliolanza vissuta, dalla quale lo stesso Vescovo Corecco a sua volta era stato generato nei suoi anni di sacerdozio. Ed è sempre più vero per me oggi a 30 anni di sacerdozio, se ripenso a quella consegna che nel giorno dell’ordinazione ci aveva fatto durante l’omelia. Pur non ricordando bene tutto quello che esattamente ci disse (complice l’emozione di quel momento) una sua frase tuttavia mi colpì profondamente, fino a segnare tutta la mia vita sacerdotale: «Siete mandati come sacerdoti in mezzo al popolo di Dio – ci disse- per aiutare ogni singolo cristiano a riscoprire la forza e la grazia del proprio battesimo, del proprio incontro con Cristo presente qui e ora nella Chiesa». Da allora, non ho più dimenticato questa consegna, che inizialmente mi sembrò quasi scontata, e che in seguito si rivelò invece così profondamente vera da riscontrarne nei fatti tutta la portata esistenziale ed educativa. In effetti quello che Corecco ci disse era successo anche nella mia vita, all’età di 16 anni, quando l’incontro con una esperienza viva di cristianesimo con gli amici della scuola che frequentavo a Milano, mi fece comprendere che Cristo non era un fatto del passato o un ricordo devoto, ma Qualcuno presente e contemporaneo alla mia umanità ai miei bisogni più profondi. Accadeva in quei volti di amici che allora mi avevano raggiunto ed amato, e dai quali non mi sarei più staccato, ma era tuttavia già successo prima, all’inizio del mio essere cristiano, al punto tale che un giorno corsi da mia madre per chiederle con decisione: «Quando sono stato battezzato?»

Così grazie a queste parole del Vescovo Eugenio, compresi che tutto il compito che mi veniva chiesto era anzitutto vivere io per primo la grazia del mio battesimo e stare al fianco delle persone affidatemi, come Gesù con i discepoli di Emmaus, per aiutarle camminando con loro nella compagnia della Chiesa a riconoscere questa Sua vicinanza. Non c’era bisogno d’inventarsi nulla, nessuno schema o stratagemma particolare, ma solo un impegno più vero e appassionato col proprio umano, facendo propria l’esortazione di Sant’Ireneo di Lione: «Cristiano diventa ciò che sei».

Ancora oggi, nel compito sacerdotale, questo punto di partenza certo, che diventa anche quello di approdo, mi rende persuaso della verità e della bellezza di quelle parole del Vescovo Eugenio, e mi aiuta ad essere, come cristiano e come sacerdote, più facilitato nell’essere vicino al destino delle persone che incontro, poiché c’è una strada già preparata e che occorre solo percorrere insieme. Lasciando fare il meglio a Colui che ha cominciato tutto!

Don Nicola Di Todaro

Chiesa cattolica svizzera

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