«Mediterraneo. Frontiera di pace». Prof. Fabris: «La Chiesa difende l'uomo, non i confini della cristianità»

«Trasformare il Mediterraneo da confine in luogo di relazioni e di incontro ». È questo il sogno del convegno che si sta svolgendo a Bari, la città pugliese dove sono convenuti 58 vescovi di conferenze episcopali dell’area del Mare nostrum e dove domani arriverà il Papa. «Mediterraneo, frontiera di pace» è il titolo di un evento che mette a tema le migrazioni per riflettere di Europa, integrazione, dialogo e pace. Ne parliamo con il prof. Adriano Fabris, esperto di dialogo interculturale, direttore dell’Istituto ReTe della Facoltà di teologia di Lugano e docente di filosofia all’Università di Pisa.

Prof. Fabris, partiamo dall’auspicio espresso in queste ore a Bari dal cardinale Bassetti: fare del Mediterraneo un luogo di incontro, piuttosto che un confine. Cosa si intende esattamente? «In questi giorni emergono alcuni elementi. Il primo, che le persone devono essere «libere di restare e libere di migrare», citazione del cardinale Bassetti. Questo significa che per scegliere di restare nella propria terra e non migrare, sono necessarie delle condizioni di libertà, ma dove c’è corruzione, non c’è futuro per i giovani e non c’è libertà di scelta. Quindi, «liberi di restare» significa: costruiamo insieme le condizioni perché ognuno abbia le possibilità reali di scegliere e la libertà di costruirsi una sua vita. Il secondo elemento lo riprendo dal testamento di padre Christian de Chergé, il monaco francese ucciso a Tibhrine, in Algeria, nel 1996. Padre Christian scrive: «Potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre per contemplare con Lui, i Suoi figli dell’islam, così come li vede Lui, tutti illuminati dalla Gloria del Cristo, frutto della sua passione, investiti del dono dello spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione giocando con le differenze». Questo significa: Dio chiede alla Chiesa di «giocare con le differenze», cioè di assumerle».

In queste ore la violenza che non accetta le differenze ha colpito nuovamente in Europa, ad Hanau in Germania. Qual è la visione del Papa in risposta a queste derive che partono dall’idea di superiorità della razza e di pericolo dello straniero? «Francesco insiste sull’accoglienza collegandola all’integrazione: non si può pensare ad un’accoglienza che non sia anche capacità di integrare e di integrarsi. L’accoglienza non può che essere il punto di partenza per un percorso reciproco, in cui scoprire me stesso nell’altro e aiutare l’altro a scoprire se stesso, attraverso il rapporto con me. Ognuno dei due deve cedere qualcosa, perché ci sia un reciproco guadagno e una reale integrazione. Ma ci sono contesti dove questo secondo passaggio non viene fatto. Il secondo punto del Papa è più metodologico. Noi sbagliamo se consideriamo l’apertura al Mediterraneo come qualcosa che deve essere posto a difesa dei cristiani del Medio Oriente o delle comunità ecclesiali di quelle terre. Certo, è importante anche la loro condizione, ma il Papa va oltre: il suo discorso di accoglienza vale per ogni essere umano. A Bari non si sta parlando di salvaguardia dei confini della cristianità contro un ipotetico invasore, ma si sta lavorando per la dignità umana e per il futuro «comune» dei popoli».

Cristina Vonzun

Chiesa cattolica svizzera

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