Non sono un barattolo di marmellata: quindi non mettetemi una etichetta

«Fin da bambina ho capito che che dovevo affermarmi in quanto persona, in quanto Denise». Denise Carniel, oggi ha 34 anni e vive a Daro. Blogger di catt.ch (dove si descrive cosi: sognatrice e utopista convinta da una parte, ma pragmatica e razionale dall’altra. Consapevole che per cambiare il mondo ci si debba mettere in gioco nel quotidiano, cerca di fare ciò che ama al meglio che può: ovvero dare un valore alle parole, all’ascolto, alle persone, cercandone l’individuale bellezza, mettendoci il cuore), attivissima sui social, tutti i social (Ci confida: «Ma non sono colei che su Facebook usa le frasi di Bukowski o Alda Merini, che fa tanto figo, io non inflaziono la mia carrozzina. Io ti regalo una mia idea ma non te la regalo costruita, ti do i lego e poi te la costruisci te la casa») , presidente di all4all Ticino; insomma una vita piena e felice.

Denise ha imparato ben presto che affermandosi in quanto persona la sua malattia sarebbe diventata parte di un contesto. Un processo molto lungo e difficile e, se volete, non esclusivo di chi è malato. La personalità la crei da bambino quando gli altri si incuriosivano della figura di Denise e le domande non sempre erano delicate. Ma lei neanche le voleva particolari attenzioni! Decisa, diretta e sempre col sorriso. «I bambini si stupivano della mia sensibilità nell'»esserci» sempre, sempre disponibile e quando poi sei adolescente l’interazione con gli altri diventa fatta dalla ricerca di ciò che sei e quindi ero colei che aveva bisogno di una mano ma che dava una mano altrettanto. Perché loro mi davano una mano fisicamente e io riuscivo a stare con loro nei momenti più complicati. Ho imparato l’arte del «restare» e del prendersi cura». E questo assume una forza prorompente e disarmante perché detto da una persona come Denise con un vissuto speciale.

«Le grandi domande, le grandi paure o anche solo alla ricerca di se stessi, il cercare il proprio posto nel mondo, cos’è l’amore, cos’è la fiducia: sono le stesse per me e te. Sono un work-in-progress di tutti i giorni. Non c’è nessun atto di eroismo nel vivere la propria quotidianità al meglio.

Nel metro di valutazione della nostra società spesso la persona discriminata è colei che è «diversa. «Ma», dice Denise: «Paradossalmente quello che la società definisce «diverso»: può essere il genere, le attitudini sessuali, il colore della pelle bianca piuttosto che nera è sempre qualcosa che non si ha sotto il proprio controllo. La discriminazione è stupida. Anzi l’unica discriminazione che accetto è quella che divide le persone tra buona e cattive! Oggi io ho costruito un mio spazio di esistenza, so cosa posso dare e mi son detta che facendo il mio massimo posso fare la differenza in questo mondo».

La vedi e pensi che la sua sia storia felice, di una persona innamorata della vita, amata, che riceve la forza da quella che dà. Lo senti dal tono della voce e da quello che dice:

«Nessuno dovrebbe essere mai etichettato, perché non siamo barattoli di marmellata, non fare in modo che un bambino che ha un problema fisico abbia una etichetta è come se gli tarpi le ali ancora prima di fargliele crescere. La questione è che poco importa se sei disabile, se sei malata, o se non lo sei: tutti abbiamo dei sogni e tutti abbiamo il diritto e il sacrosanto dovere di metterci nella condizione di poterli realizzare».

In questa naturalezza, ricchezza e umanità c’è anche spazio a quello che non le va bene, che la fa arrabbiare, come è giusto che sia. Ma non sono le cose di tutti i giorni, i muri, le barriere, le ingiustizie: lei è rivolta sempre all’altro.

«Mi fa arrabbiare il «non ascolto». Dal dialogo e dall’ascolto nasce qualcosa che può aiutare reciprocamente a vivere meglio. Se io ti faccio tutta una spiegazione e alla fine mi rendo conto che tu non hai ascoltato nulla di quello che ti ho detto, che non ti sei mosso dal pregiudizio o dalla tua idea, è un insulto entrambe le intelligenze, così non tratti male il mio essere malato ma tratti male il mio essere persona, non ci prendiamo cura reciprocamente, mi fai capire che per te sono una chiave di lettura troppo semplice, quando il dolore non è mai semplice, per nessuno».

Un capitolo importante della sua vita è Lourdes. La definisce «la migliore società possibile, la società ideale».

«Lourdes è un luogo in cui ognuno ha come priorità i sentimenti buoni, ed è quindi possibile portarla nella vita di tutti i giorni. E’ veramente la ribellione gentile contro ciò che definiamo granitico nella società di oggi: la forza, cioè una persona per valere deve dimostrarsi forte, la bellezza, la produttività, più sei produttivo più sei in alto nella classifica. A Lourdes non conta se sei bello, forte o produttivo ma come stai vicino alle persone, come ti metti alla stessa altezza di occhi e di cuore di qualcuno, quanto riesci a essere parte di un dolore, quindi ad avere compassione, quanto soffro con te nonostante io abbia un dolore diverso dal tuo mi metto nella condizione di imparare nel tuo dolore. Lourdes ti fa capire quanto sia importante essere allievo e se sei maestro come meritare i tuoi discepoli. A Lourdes non è importante vedere un miracolo ma farne parte, cioè costruire del bene con quella persona. Io in questo credo, che tutti noi possono essere parte di un miracolo possiamo renderlo reale».

Denise Carniel vuole fare sempre di più, una continua ricerca di inclusione nella gioia reciproca.

«Vorrei che ci fossero sempre più persone che ci conoscano, più persone che capiscano che non bisogna per forza avere paura della malattia, o paura gli di approcciarsi a ciò che è nuovo, a ciò che può essere diverso. Perché so per certo che parti con l’idea che il diverso è diverso e alla fine arrivi a capire che questa cosa non è diversa: è estremamente particolare, speciale!»

Chiesa cattolica svizzera

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